domenica 26 gennaio 2014

Prete padovano al Cairo: «Stamattina ci ha svegliati lo scoppio della bomba»

Il terzo anniversario della rivolta di piazza Tahrir al Cairo, che ha messo fine al regime di Hosni Mubarak, si sporca di sangue. Quattro le bombe fatte scoppiare con l'obiettivo di colpire le forze armate, sempre più vicine a riprendere il potere con il generale al Sisi. Drammatica la testimonianza di un sacerdote padovano al Cairo che si mostra poco ottimista anche dopo il recente referendum che ha approvazione a larga maggioranza la nuova costituzione.  

da "La difesa del popolo"  Settimanale diocesano di Padova
24 gennaio 2014 - di Luca Bortoli

«Stamattina ci siamo svegliati con il botto della bomba. Non è stato un bel risveglio. Comunque stiamo tutti bene».
Inizia così la testimonianza di un sacerdote padovano al Cairo (che preferisce mantenere l'anonimato) in una giornata drammatica per l'Egitto. Quattro le bombe fatte saltare nei pressi dei centri di comando delle forze armate o al passaggio di agenti e soldati, 19 le vittime in totale. Gli attacchi sono stati rivendicati, via Twitter, dal gruppo jihadista Ansar Bait al Makdis che definisce infedeli i soldati e promette che la jihad proseguirà.

La prima bomba, quella che svagliato di soprassalto la comunità in cui presta il suo servizio il prete padovano, è scoppiata intorno alle 6.30 di ieri per opera, ed è la prima volta in Egitto, di un kamikaze. Letteralmente sventrata la sede del comando delle forze armate davanti a cui l'auto bomba è deflagrata.

Tutto questo testimonia che la situazione nel paese più importante del medioriente, un gigante da 80 milioni di abitanti che si trova in una posizione strategica tra il Maghreb e Israele, è tutt'altro che pacificata, nonostante l'approvazione a grande maggioranza della bossa di nuova costituzione avvenuta con il referendum che si è  tenuto il 14 e 15 gennaio scorsi.

«Noi missionari che siamo "abbastanza dentro" per capire cosa succede e "abbastanza fuori" per tentare di guardare la situazione con un certo distacco (un distacco che chi ha perso parenti a causa dell'odio integralista non si può permettere) rimaniamo molto perplessi per quello che sta succedendo», commenta il sacerdote. E guardando all'esito del referendum spiega: «Con il referendum costituzionale, si è avverato quello che in molti avevano preannunciato come una manifestazione di forza del potere costituito. Qualche blogger aveva scritto "sei libero di votare, se voti sì". Effettivamente, è vero che il 98 per cento degli elettori ha votato per la bozza costituzionale proposta dalla costituente diretta da Amr Musa (e nella quale anche il vescovo copto-cattolico di Fayoum-Giza ha contribuito). Ma è anche vero che l'affluenza è stata parecchio bassa. Un po' più alta di quella che promosse la costituzione islamista scritta dai fratelli musulmani appena tredici mesi fa, ma non alta abbastanza per poter dire che questa è la volontà del popolo. Particolarmente, ha colpito la bassissima affluenza alle urne da parte dei giovani, soprattutto alcuni settori della società civile che avevano innescato la rivoluzione di piazza Tahrir».

Guardando allo strato del paese, il sacerdote tratteggia un Egitto diviso in tre fazioni. Da una parte gli islamisti che vorrebbero tornare al potere, e portare avanti un'agenda che prevede, tra l'altro, una pericolosa messa in discussione degli accordi di pace con Israele. Dall'altra chi sostiene i militari, cioè chi comanda ora, che non teme di dire che "si stava meglio quando si stava peggio", cioè durante il lunghissimo governo di Mubarak (salito al potere da generale) e che vorrebbe tornare indietro con la scusa della stabilità per il paese. Infine, ci sono i promotori di una terza via, che si rifiutano di stare al gioco degli altri due gruppi. «Il vero dramma - riprende il missionario - non è che siamo divisi in tre gruppi, ma che questi gruppi non abbiano nessuna voglia di dialogare. Credere che un pezzo di carta come la costituzione risolva la cosa è ridicolo. Ci vuole ben altro che un testo, che tra l'altro non è così innovativo come lo descrivono quelli che l'hanno scritto». Dal prete padovano dunque nessuna apertura all'ottimismo dimostrato nei giorni scorsi da mons. Mina, vescovo copto-cattolico di Giza.

Al contrario, il sacerdote ha parole di fuoco per la chiesa locale. «Personalmente, trovo molto amaro che la gerarchia ecclesiastica sia così supina al gioco dei militari. Questo tipo di strategia – oltre che essere miope – è poco furbo sul piano strategico. Dio ci salvi dal cadere nel baratro che è la Siria, dove i cristiani hanno preso la parte di Assad».

La storia comunque è ancora lunga, conclude il missionario, «e più passano le settimane e più si allargano le fila di chi non sta ai giochetti dei primi due gruppi. Arriverà il momento di rimescolare le carte, e cominciare, forse per la prima volta, il gioco. Ma intanto che aspettiamo, continuano gli attentati dei terroristi e la pressione dei militari e a farne le spese è il popolo, che si trova in mezzo».



domenica 19 gennaio 2014

Egitto, il referendum sulla Costituzione.


di Laura Cappon  - 18 gennaio

Un plebiscito, il 96,2% di “sì” per la Costituzione, consacra il governo militare che lo scorso luglio ha destituito il presidente Mohammed Morsi. I dati sono ancora ufficiosi – la commissione elettorale li annuncerà oggi – ma sono già sufficienti all'esercito per parlare di “vittoria della democrazia”. L’unico punto debole, e che tradisce le aspettative, è l’affluenza del 38,5%, solo cinque punti percentuali in più del referendum sulla Costituzione islamista del 2012.

Nei dati divisi per governatorato il “no” non supera mai la soglia del 7 per cento, un chiaro segnale che la parte di opinione pubblica egiziana in disaccordo con la carta ha preferito l’astensionismo e ha accolto l’invito dei Fratelli Musulmani e di diversi gruppi rivoluzionari. Intanto, cresce sempre di più l’attesa sulle prossime mosse del capo delle forze armate El Sisi e sulla sua probabile candidatura. I media egiziani dipingono il generale come un predestinato alla guida del paese mentre per le strade del paese non c’è prodotto, dalle t-shirt alle cupcakes, che non abbia la sua immagine.

Questa adorazione popolare si respirava anche alle urne dove il “sì” alla costituzione era spesso associato alla candidatura del generale. “Io credo che molta gente potrebbe restare delusa se non partecipasse alle elezioni”, spiegava Magda mercoledì scorso mentre era in fila per votare nel seggio di Zamalek. Al momento sembra che le elezioni presidenziali potrebbero svolgersi prima delle parlamentari. In merito al disaccordo nella costituente, spetta alla presidenza emettere un provvedimento ad hoc.

La vittoria di El Sisi, nel caso di una sua candidatura, sarebbe resa più semplice anche da un'opposizione resa sempre più debole dalla repressione dei militari. La grande macchina elettorale dei Fratelli Musulmani, è stata completamente decapitata. Quasi tutti i suoi vertici sono in carcere mentre il movimento circa un mese fa è stato dichiarato un’organizzazione terroristica dal nuovo governo egiziano. Inoltre, la sua costola politica, il partito Giustizia e Libertà, è ormai fuori legge perché la nuova costituzione, tramite l’articolo 74, bandisce gli schieramenti fondati su base religiosa.

Per quanto riguarda i partiti laici, la maggioranza ha deciso di appoggiare il governo sin dal giorno della deposizione di Morsi causando un’implosione del Fronte di Salvezza Nazionale che ha annunciato il suo scioglimento. Restano i rivoluzionari, anche loro con diversi leader in carcere dal noto blogger Alaa Abdel Fattah ad Ahmed Maher, fondatore del movimento 6 aprile.

Sono loro a pagare il prezzo più alto di questa polarizzazione politica mentre, annaspando nella repressione, continuano a fronteggiare diversi problemi di organizzazione e la difficoltà di trovare unità su un eventuale leader in vista delle elezioni. L’ultima speranza, con alti e bassi, era stata Mohammed El Baradei. La storia è nota: il suo Fronte di Salvezza Nazionale ha appoggiato l’autoritarismo dell’esercito voltandogli le spalle. Le sue dimissioni dal governo transitorio, e il conseguente abbandono della vita politica, restano uno dei fallimenti politici più grandi per chi pensava di trovare in lui un degno rappresentate delle richieste di piazza Tahrir.

Nonostante ciò molti analisti avvertono che la candidatura del capo delle forze armate potrebbe essere un errore. La crisi economica egiziana resta una delle più dure della storia e il governo per ora fa cassa solo grazie ai prestiti stranieri. Lo scenario, dunque, è sempre lo stesso che portò gli egiziani a ribellarsi contro Mubarak nel 2011 e poi, dopo appena un anno di governo, contro Morsi lo scorso 30 luglio. “Ora tutti amano El Sisi ma la gente continua a morire di fame”, afferma l’attivista Omar Robert Hamilton. “La situazione è drammatica e la rabbia sociale, repressione o meno, potrebbe tornare nelle strade anche con El Sisi”.

Il 98,1% dei votanti al referendum sulla nuova Costituzione egiziana si è espresso in favore della Carta. Lo fa sapere la Commissione elettorale centrale del Cairo, precisando che sul totale di 20,6 milioni di schede posate nelle urne, il 38,6% di affluenza, ne sono state conteggiate 20,3 milioni, perché le altre sono state eliminate in quanto non valide. Si è trattato del primo voto in Egitto dalla destituzione di Mohammed Morsi dalla presidenza il 3 luglio, per mano di un colpo di Stato militare. Le autorità egiziane attendevano un risultato positivo dal referendum, interpretandolo come una legittimazione del governo ad interim sostenuto dai militari e del suo piani di elezioni parlamentari e presidenziali. I sostenitori di Morsi e dei Fratelli musulmani hanno boicottato il voto e parlato di brogli. Gli islamisti hanno promesso che le loro manifestazioni quasi quotidiane proseguiranno.
Il giudice Nabil Salib, capo della Commissione, ha definito il voto di martedì e mercoledì un "successo senza rivali" e con "un'affluenza senza precedenti". In realtà, tuttavia, il referendum costituzionale promosso dal governo di Morsi nel 2012 aveva portato ai seggi il 32,9% degli elettori. Nell'annunciare i risultati, Salib ha sottolineato che la partecipazione sarebbe stata maggiore, se le date non fossero coincise con gli esami universitari, che hanno tenuto i giovani lontano dai seggi. Intanto attivisti e gruppi per il monitoraggio hanno sollevato preoccupazioni sull'atmosfera in cui il voto si è svolto. Democracy International, con base negli Usa, ha dichiarato che "arresti e fermi di voci dissidenti" si sono verificate prima del voto. "Una transizione democratica dovrebbe essere caratterizzata da una espansione delle libertà, ma gli egiziani hanno visto restrizioni sostanziali nell'esercizio dei loro diritti democratici", ha dichiarato Eric Bjornlund, presidente della missione del gruppo in Egitto.
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