Ieri abbiamo deciso di andare ad Aataba a cercare il
materiale per imballare i prodotti che vogliamo vendere nell'angolo della solidarietà e della salute del Naadi.
È già la seconda ambulanza che
cerca di farsi spazio nel traffico bloccato La sirena continua imperterrita a
urlare fintanto che qualcosa non si muove … ecco, è riuscita a passare, i
clacson tornano a farla da padroni.
Con Elsa e Sabah abbiamo preso un taxi che, con i tempi obbligati
dal traffico cairota ci ha portate al margine di Aataba, quartiere mercato
dove ero già stata con Joseph in cerca dei pezzi di ricambio per la Singer e di
legno per costruire un attrezzo dove mettere a seccare la pasta fresca fatta in
casa.
Il quartiere è diviso per tipo di merce: la zona del legno
quella degli imballaggi, delle stoffe, del vestiario, dei macchinari, degli
elettrodomestici, di profumi e spezie … eccetera.
Un quartiere esposizione dove tanto viene messo lungo strade
e marciapiedi e altrettanto nelle botteghe, negli appartamenti, negli anfratti
fra i grattacieli …
Rajo, o Fufi come in alcuni lo
chiamiamo, il cagnolino ospite della missione, sta facendo le corse per il
lungo corridoio, arriva nell'ampio disbrigo antistante le camere dove si
esibisce il spettacolari derapate. Fino ad ora è stato in cortile assieme a
Gaston, la mascotte settantasettenne arabo francese del Naadi. Un personaggio
molto particolare, che vive da solo in un grande appartamento non distante da
qui. Ogni giorno, con il suo bastone ed un passo piuttosto celere anche se
claudicante, se ne arriva al Naadi, si siede all'aperto su una sedia e guarda,
controlla, conversa, gira. Potremmo definire la sua un’adozione che ormai è
divenuta istituzione.
Io e Gaston ci facciamo grasse
risate insieme. Alla mattina lo saluto con un sorridente “bonjour Gaston”, lui
mi risponde “Bonjour madame”. Poi mi avvicino e gli do la mano. Lui parla in
francese o in arabo, io italiano o inglese. Dunque non ci capiamo! E allora
iniziamo a gesti … e giù a ridere!
Giriamo, dunque, per Aataba in cerca di un rotolo di
plastica per confezionare sottovuoto i prodotti alimentari, barattoli di vetro sempre
a scopo alimentare e un vaporetto di cui nessuno conosce l’esistenza.
Ora passiamo a quanto ho visto.
Non metterò le virgolette ogni
volta che vorrò indicare che alla parola che adopero non corrisponde la nostra
idea, quale realtà effettiva della cosa. Ad esempio, se scrivo negozio, non
intendo il nostro genere di negozio, ma un indefinibile luogo dotato
generalmente di scaffalatura e una sorta di banco vendita. Il resto si
racconta da sè.
Aataba.
Premessa: una naturale e congenita sporcizia pervade ogni
cosa, ogni dove.
Entriamo dunque nel primo negozio dove si vende materiale
per imballaggio di alimentari: polistirolo, bicchieri e piatti di palstica,
scatole e scatoline, carta per i pasticcini ecc. Elsa chiede, mostrando il
nostro campione di merce, se da loro se ne trova. Prendono in mano la cosa, la
osservano, saggiano il materiale, e rispondono che non esiste. Così uno, due,
tre negozi. Chiediamo in giro e ci indicano un posto “alatul e poi shmell e
ancora iimin” (dritto a sinistra e poi a destra) dentro un portone e al secondo
piano a shmell.
Camminando in fila indiana sotto un sole ancora molto caldo,
ci facciamo largo fra merce e persone, chiedendo indicazioni ogni tanto, fino a
giungere al portone. In molti urlano per richiamare l’attenzione sulla propria
mercanzia.
Entriamo. Elsa e Sabah proseguono senza alcun sussulto
mentre io rimango sbalordita dalla situazione: alla mia destra un venditore di qualcosa è seduto con il suo banchetto.
Dietro di lui l’idea di un ascensore, davanti a noi le scale. Definire
l’ambiente sporco è poco. Ma dirò solo sporco che altro non saprei dire. Lungo
le scale c’è un viavai di persone, assolutamente in sintonia con il luogo. Sui
pianerottoli si affacciano aperture che conducono dentro stanze piene di merce.
Il tutto senza alcuna luce naturale. Non c’è l’ombra di una finestra.
Dico subito a me stessa che non avrei comprato nemmeno uno
spillo in quel luogo, ma tacendo col resto del mondo, seguo le mie compagne fino
al secondo piano. Entriamo nella stanza alla nostra sinistra dove si trovano
due persone alle quali Elsa chiede le solite informazioni.
Ci mostrano un grande rotolo di plastica doppia che, a
parere loro, potrebbe servire allo scopo.
Mi spiace essere così tranchant,
ma un secco no esce senza alcuna
pazienza dalle mie labbra.
Forse ci posso foderare i libri di scuola con quella
plastica, riporre le maglie invernali, ma niente di più.
Ci chiedono, senza consapevolezza, se ne abbiamo bisogno per
esportare in Cina, che è quella che usano! Per carità … la Cina, il luogo dove,
per eccellenza, si produce merce di scarso valore quando non pericolosa per la
salute. Soprattutto dei bambini che lì, in Cina, vengono pure sfruttati.
Made in China.
Qui apro un inciso che il pensiero vi si attarda senza
lasciarmi proseguire altrimenti …
Sabah deve comprare una tutina per la piccola Elena, la sua
bambina di tre anni. Così ci fermiamo, di passaggio fra le vie degli
elettrodomestici dove inutilmente abbiamo cercato il Vaporetto, the plastic zone e la tappa successiva alla ricerca del vetro perduto.
Il primo banchetto è governato, come tutti gli altri, da un
maschio. Un giovane maschio. Sabah guarda i colori, cerca la misura della
tutina. Io ed Elsa meno interessate ma da brave mamme navigate, con fare
sapiente saggiamo la merce. Ad un certo punto mi rendo conto che non c’è nulla,
assolutamente nulla che non sia sintetico. Mi chiedo dove sarà finito il famoso
cotone egiziano. Cerco le etichette per vedere i componenti: neanche l’ombra.
Solo si legge la marca e Made in China.
Dico ad Elsa, interprete fra me e Sabah, di dirle di non
prendere nulla che avremmo guardato più avanti.
E così facciamo. Faccio spiegare che indossare tessuti solo
sintetici è dannoso. Non vado oltre dicendo che i coloranti dei tessuti che
usano in Cina sono tossici.
Al banco successivo altra ricerca. Sabah ha capito e
controlla bene i tessuti fino a quando non trova una tutina che, almeno, è
garzata all'interno con un leggerissimo tessuto di cotone. Meglio di nulla.
Sono certa che nei grandi centri commerciali dei quartieri in del Cairo si trova anche merce di
qualità. Merce che certamente non è dedicata alla maggior parte della
popolazione.
Certo che la Rivoluzione ha avuto
certamente motivo di essere, peccato che il popolo che è sceso in piazza
stremato dalla povertà, non abbia prodotto alcun leader finendo così nelle mani
dei Fratelli Mussulmani che erano da tempo organizzati. Spiace dirlo, ma dalla
caduta di Mubarak, le cose non sono migliorate per il poplo, anzi … parrebbero
peggiorate.
Dunque, imballaggio di plastica non trovato, vaporetto
nemmeno, proseguiamo verso la parte del mercato destinata al vetro. Sabah
continua a chiedere informazioni. Camminiamo quasi sempre in fila indiana,
districandoci fra ostacoli di ogni genere e odori improponibili di cibo. Gatti
frugano nelle immondizie gettate a terra mentre alcuni cani gironzolano così,
senza capo ne coda. Passiamo accanto ad un locale i cui tavoli, apparecchiati all'aperto hanno già disposti sopra dei piatti con dell’insalata pronta da
mangiare e una stranissima cosa gelatinosa dagli improbabili colori rosa e
violetto. Mi si stringe lo stomaco e non voglio nemmeno pormi la domanda di che
cosa si tratti. Vorrei evitare di vomitare.
Camminiamo fino a svoltare a iimin dove si snodano, a destra
e sinistra, le botteghe che vendono imballaggi di plastica e vetro per creme e
profumi. Tutte queste cose contenute in sacchi di plastica disposti lungo la
strada.
Del trio io sono sempre l’oggetto dell’osservazione. I
capelli grigi, il vestiario diverso, l’età che non corrisponde alla forma del
fisico che qui, ad un certo momento si allarga, una lingua diversa. Una sorta
di aliena.
Proseguiamo nel caldo delle vie strette che odorano di Cairo.
Ancora informazioni, ancora alatul e poi iimin fino ad incamminarci lungo una
stradina sterrata quasi in salita.
Mosche. E ancora mosche. Sacchi di plastica bianca lungo una
specie di muro di cinta … uomini seduti a far niente o, meglio, ad aspettare. Uomini
indaffarati a portare sacchi sulle spalle fino a caricarli su mezzi di
trasporto dalla rottamazione certa.
Sabah chiede, ci viene indicato un uomo che sa da boss. Ci
guarda strano. Tre donne, una egiziana, l’altra di colore e l’aliena. Quasi non
si fida. Ma Elsa è una donna determinata e sa farsi valere.
Così si decide a farci vedere la sua merce. Apre un sacco e
compaiono i barattoli: si tratta di vetro riciclato.
Osservo, questa materia è pane per i miei denti e faccio la
mia analisi traendo la conclusione.
Sono barattoli usati, separati dall'immondizia del Mokattam,
lavati alla bell'e meglio, insaccati nella plastica e messi in vendita. Mi
scuso per il gioco di parole, ma io mi rifiuto! Sì, mi rifiuto di pensare che
si possa acquistare un prodotto simile per utilizzarlo come vetro riciclato,
ancor più per uso alimentare! Sono sbalordita, mi sento offesa per come viene
concepito il riciclo. Mi spiace, no, andiamo via, piuttosto compero plastica
nuova che vetro sporco.
L’esperienza ad Aataba finisce qui. Questa volta prendiamo
la metro, dopo due fermate scendiamo a Sadat e cambiamo linea per arrivare a
Nasser, dove si esce su Ramsees street, a casa nostra.
Mentre aspettiamo la metro, chiedo ad Elsa di dire a Sabah
che la ringrazio. Le sono grata perché noi abbiamo la possibilità di mangiare a
casa dove lei ha imparato, sotto la guida di Padre Giovanni e non solo, a
cucinare in modo equilibrato, a tenere pulita la cucina e la casa come siamo
abituati in Europa, anche se non sarà mai possibile raggiungere i nostri
standard. Ma non è neppure quello che si vorrebbe, perché esagerare non va mai
bene.
Ora si tratta di continuare nella
ricerca dei materiali. Abbiamo pensato di andare ad una fabbrica di imballaggi che
si trova nella città di 6 Ottobre, poco lontano dal Cairo. Lì, se non
potremo acquistare le piccole quantità che ci servono, spero che sapranno dirci
dove poter trovare quello che vogliamo.
Considerazione finale.
Ancora ua volta non posso che
avvertire una profonda mancanza di consapevolezza che nasce dalla mancanza
della possibilità di acquisire strumenti in modo diffuso e democratico
attraverso lo studio, l’informazione.
La scuola, la formazione e la
qualità con qui vengono offerte, sono di primaria importanza. Non si può
prescindere da questi elementi se un Paese vuole crescere, in ogni senso. Spero
che nel tempo abbia luogo anche una rivoluzione culturale, che la gente chieda
di sapere e conoscere per potersi elevare in consapevolezza.
Buona notte.