di Samir Khalil Samir
06/12/2012 (tratto da asianews)
A quasi due anni dalla rivolta delle piazze arabe, il Medio
Oriente si ritrova più islamista e più violento. Eppure i giovani avevano
combattuto per una maggiore dignità e libertà. È un lavoro compiuto a metà: ci si è liberati dai dittatori, ma non si
è ancora costruita la democrazia. Il grande islamologo Samir Khalil Samir
offre la sua visione (Prima Parte)
Beirut (AsiaNews) - C'è tristezza in Medio Oriente per il
decorso della primavera araba. L'immagine più significativa è quella dei
giovani che in questi giorni assediano in modo pacifico il palazzo
presidenziale di Mohamed Morsi a Heliopolis.
Dopo quasi due anni siamo ancora al punto di partenza,
davanti a un nuovo tentativo di dittatura. Sembra
proprio che la primavera araba sia spazzata via. In più vi è un viraggio sempre
più chiaro verso l'islamismo. Questo è evidente al Cairo, ma anche in
Tunisi, Libia o in Siria.
La primavera araba:
pane, lavoro e dignità!
La primavera araba è stata la prima ribellione contro regimi
che nati da una rivoluzione militare, sono via via scivolati verso la
dittatura. I movimenti di protesta emersi in questi due anni sono un segno che
fra gli arabi c'è una coscienza che dice: Non ne possiamo più, e la forza è
stata tale da rovesciare queste dittature. Era una protesta improvvisata,
contro la povertà e la disoccupazione, e per più libertà e dignità.
Ma questa è la parte destruens, distruttiva, riuscita,
sostenuta da una volontà di cambiare questi Paesi. Adesso però viene la parte
costruttiva, basandosi sulle capacità di costruire una società migliore e
democratica.
Egitto, i "Fratelli Musulmani" e il fondamentalismo sunnita
Ma edificare un
sistema democratico sembra quasi impossibile: da almeno 3 generazioni non
conosciamo cosa sia la democrazia. In Egitto, fino al 1952 vi è stata una
monarchia debole che aveva delegato il potere alla Gran Bretagna. Vi era sì una
forma di democrazia, ma dei ricchi e dei benestanti, che non affrontava la
questione sociale.
Il successo di Abdel Nasser è stato proprio questo: di aver
fatto una rivoluzione sociale. Presto però, siamo passati a un sistema autoritario sotto Nasser, sempre
più dittatoriale fino a Moubarak: più di 60 anni in cui la gente ha imparato
solo ad obbedire, a non pensare ad alcun cambiamento. Talvolta il governo
ha osato fare qualche riforma più o meno buona. Questo è successo in Egitto,
Tunisia, Iraq, Siria. Perciò non sappiamo che cosa significa un regime democratico,
e non s'impara in due anni!
Il lungo cammino
verso la democrazia
Il problema ora è imparare a concretizzare la democrazia
nelle leggi e nelle strutture. Ma questo non si improvvisa.
Infatti, chi ha preso
il potere? I più organizzati. I giovani che hanno fatto la rivoluzione non
avevano alcuna esperienza di governo. Essi volevano cambiare e hanno
cambiato, ma non hanno proposto alcun partito o soggetto politico.
Chi aveva esperienza, ma apparteneva al vecchio regime è
stato messo da parte. Rimanevano le
organizzazioni emarginate dal vecchio regime, ma rimaste attive durante la
dittatura, e cioè i Fratelli musulmani.
E allora con trucchi, furberie, manipolazioni, i Fratelli
musulmani sono riusciti a salire al potere. Inoltre, la presenza di ben 40% di analfabeti in Egitto ha favorito gli
islamisti: bastava dire che questo partito era quello basato sulla Legge
divina, la sharia, e non sull'ateismo e su leggi umane, per convincerli.
Perciò è molto importante che giovani e vecchi abbiano
reagito rifiutando il potere assoluto di Morsi. La gente si accorge anche che
il problema non è solo Morsi, ma tutto il movimento islamista.
Il dramma attuale
dell'Egitto - e del Medio Oriente - è che tutti vogliono la democrazia, ma non
si sa cosa sia.
Sappiamo cosa non è
democrazia - come questa struttura di potere dei Fratelli musulmani -, ma non
sappiamo ancora definirla.
Ci vorranno forse decenni per abbozzare qualche progetto
sociale in positivo. Ma fin da ora possiamo impegnarci in ciò che può preparare
la democrazia piena. Ad esempio, finché
avremo un tasso di analfabetismo così alto (più del 40%), non ci sarà
democrazia. Chi non sa leggere, non può seguire in modo pieno gli
avvenimenti; dipende da chi gli dice le cose; e non ha la capacità di discernere,
di valutare se una proposta è costruttiva o no.
L'uomo semplice e
l'autorità religiosa
Dall'altra,
l'analfabeta - e in genere l'uomo semplice - dipende dalla religione, perché in
buona fede pensa che le cose di Dio sono le migliori. Gli hanno insegnato e
ripetuto che gli imam sanno cosa vuole Dio; che la sharia è la migliore
legislazione possibile; che il Corano è la perfezione di tutto... E allora
ascolta gli imam, che gli dicono che il modello coranico è il miglior modello
sociale, anche se è promosso solo dai fondamentalisti islamici. Ma non riflette che questo modello poteva
essere perfetto per il VII secolo, per l'Arabia, per una società beduina, ma
può non esserlo per una società moderna, industrializzata, globalizzata.
Purtroppo gli egiziani
seguono in modo pedissequo gli imam e la loro interpretazione di Dio. Se
uno osa domandare «Ma perché pregare? Perché pregare cinque volte al giorno?»,
tutti dicono: «É Dio che lo vuole!». E così tutti tacciono. Per cambiare questa
sudditanza dagli imam occorrono lunghi anni di educazione.
Il sistema educativo
è basato sulla memorizzazione, non solo del Corano e di alcuni detti di
Muhammad, o delle poesie preislamiche incomprensibili oggi, ma anche della
storia e persino delle scienze e della matematica. Chi va oggi a scuola impara
le cose a memoria, ma non impara a ragionare in modo personale, a riflettere.
Ci vorrà tempo.
Il test essenziale:
la sfida sociale
Un altro elemento
importante sarà proprio il confronto fra la proposta islamista e la situazione
sociale. Ora i Fratelli musulmani cominciano a governare e devono poter
dimostrare che sanno governare bene, che il tasso di disoccupazione diminuisce,
che l'economia migliora. Se questo non
avviene, la gente ripenserà alla verità delle loro promesse.
Gli islamisti hanno
sempre detto che l'islam ci obbliga alla giustizia, che i ricchi devono
aiutare i poveri. Il loro motto è «L'islam è la soluzione» (Al-Islâm huwa
l-hall). A qualunque domanda rispondo: «L'islam è la soluzione!». Il momento del confronto è arrivato: se nel
concreto questo non cambia nulla, allora quei proclami si manifesteranno come
un'ideologia vuota. E anche questa sarà una tappa che porta alla democrazia.
In questi giorni Morsi ha fatto una specie di colpo di
Stato: ha avocato a sé tutti i poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario.
Già il 21 novembre scorso, Mohamed
al-Baradei, Premio Nobel, ex capo dell'Associazione Internazionale
dell'Energia Atomica e fondatore del
nuovo partito egiziano al-Dostour, ha dichiarato: «Mohamed Morsi ha oggi usurpato tutti i poteri dello Stato e si è di
fatto autoproclamato nuovo faraone». Poi ha approvato la Costituente
(mancante di tanti elementi sociali, fra cui cristiani e liberali), varato un
referendum zoppo sulla costituzione ...
Ma ha creato una
reazione enorme: è l'inizio della democrazia!
La funzione
dell'esercito
Nel caso della
rivoluzione egiziana stupisce molto che l'esercito - che doveva essere la
forza secolarizzante all'interno della società - stia tacendo davanti a questa ondata islamica. Viene il sospetto
che questo scivolamento verso l'islamismo radicale vada bene anche
all'esercito; agli Stati Uniti, che sono grandi sostenitori economici
dell'esercito; al Qatar e all'imam Qaradawi, il quale all'inizio era contrario
alla primavera araba, ma ora che tutti i governi nati da essa sono islamisti,
li appoggia.
Per comprendere,
dobbiamo dire che in Egitto l'esercito va con chi ha il potere e sostiene i
militari. Se i Fratelli musulmani garantiscono che manterranno i privilegi
da loro acquisiti, l'esercito in cambio accetterà di sostenere il nuovo potere.
I militari non sono ideologici, ma sono pratici. Ora essi si rendono conto che
il governo è islamista e lo accettano. È un po' diverso dall'esercito turco,
vero strumento del secolarismo di Ataturk. Il
carattere egiziano è meno schematico, più facile all'accordo, più ondivago.
Va anche detto che
l'islamismo egiziano non è terroristico. Ogni volta che vi è un atto
terrorista, Morsi lo condanna; poi ha fatto un figurone mediando fra Hamas e
Israele su Gaza. E per questo l'esercito e la popolazione se la prendono con
più calma.
La mia impressione è
che il mondo arabo - e forse tutto il mondo musulmano - dovrà passare da una
dittatura militare a una dittatura di forte potere islamico perché la gente è
religiosa, musulmana e ha ancora stima per questo ideale nella società.
La nuova tappa sarà la pratica e la realtà che permetterà
alla popolazione di giudicare. Per ora il giudizio è teorico e va a favore
dell'islamismo. Ma se nel tempo si
manifesta che tale islamismo non migliora la situazione del popolo, allora gli
ideali di cui si ammantano gli islamisti apparirebbero come una falsità. Da qui
ci si può aspettare una reazione del popolo e si potrebbe giungere una sana
laicità per la società araba. Alla fine, chi garantisce pane e lavoro vincerà.
(Fine Prima parte)
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