Ahlan wa sahlan!
Mentre sotto le
finestre della Casa, sfila una manifestazione sulla questione
israelo-palestinese, che ha come obiettivo la sede del sindacato dei
giornalisti qui a due passi, vi racconto del nostro sabato coi ragazzi.
Ieri è stato il primo
giorno di giocolavoro qui al Cordi
Jesu. In quattordici (su sedici), più Sr. Teresa ed Emanuele, sono arrivati
verso le 10 del mattino accompagnati da Malak. Mona è arrivata poco prima così
abbiamo potuto confrontarci sul lavoro da fare. Si è deciso di affrontare le “espressioni”
con l’intenzione di dar loro modo di esternare un po’ del loro vissuto.
Ci siamo accomodati
nel laboratorio. Mona ha illustrato quello che volevamo fare mentre io
disegnavo alla lavagna i volti che esprimevano diversi stati d’animo: felice,
triste, sereno, arrabbiato, furbo, spaventato ecc.
E così i ragazzi ci hanno detto cosa li rende felici, cosa
li spaventa, cosa li intristisce. E, ancora, davanti a che cosa si rassegnano e
cosa significa essere furbi.
I temi emersi, com'era prevedibile, sono stati il senso
della perdita del genitore che è venuto a mancare e la tristezza, mista ad una velata
malinconia, per l’assenza del genitore rimasto, dei fratelli o della nonna, da
cui sono stati allontanati.
Ma, in questo amalgamarsi di tristezze, si è anche visto l’amore
che i ragazzi nutrono per quella che ora è la loro mamma, Sr. Teresa. Una donna
davvero amorevole e materna, una madre attenta, dolce ma all’occorrenza severa,
buona e autorevole. Io e Mona abbiamo trattato con lei come fra mamme oltre che
educatrici.
È stata una mattinata
intensa, e anche se faticosa, è stata interessante la continua traduzione e
intrepretazione fra me, Mona. Sr. Teresa e i ragazzi, mentre Emanuele si occupava
di volta in vota e con grande dolcezza, delle necessità di ognuno di loro.
Ancora una volta abbiamo detto che la storia deve essere il
frutto di una condivisione di pensiero e di idee e che deve nascere con il contributo
di tutti.
Abbiamo avuto il
tempo della merenda con i succhi l’ottima torta preparata alla mattina da
Sabah.
In chiusura ho chiesto a Teresa di raccontare una storia,
che peraltro conosceva, che mi piace molto e che volevo che diventasse spunto
di riflessione e che vi trascrivo.
Chi credi di essere?
Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una
chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata e l’aquilotto
crebbe insieme ai pulcini. Per tutta a vita l’aquila fece quel che facevano i
polli del cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca
di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da
terra di qualche decimetro.
Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno
splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti
correnti d’aria muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita.
“Chi è quello?” chiese.
“È l’aquila, il re degli uccelli”, rispose il suo vicino. “Appartiene
al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli”:
E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava
di essere tale” (Antony di Mello)
Ebbene, ho fatto tradurre
ai ragazzi, il lavoro che desideriamo fare con voi vuole aiutarvi a scoprire e
far crescere l’aquila che c’è in ognuno di voi.
Chiudo questa brevissima cronaca col ribadire che ogni
volta che sono con i ragazzi, il pensiero corre con gratitudine a tutti voi che
avete sostenuto il progetto.
Salam
Simonetta
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