Ahlan wa sahlan amici! Vi racconto del mio viaggio nell'Alto Egitto dal 5 all'8 dicembre.
Salam! Pace e bene a tutti :-)
Simonetta
Coincidenze di un
giorno non a caso.
5 dicembre. Per il terzo anno consecutivo questa data
rappresenta l’inizio di un viaggio.
Nel 2010 fu il primo di un lungo digiuno in opposizione all'inceneritore La prima settimana la passai ad Arco, in ritiro presso il
convento delle suore di clausura “Serve di Maria”. Un digiuno di meditazione e
preghiera lungo 33 giorni sostenuto dalla fede nel giusto, nel sacro e santo giusto.
Lo stesso giorno, nel 2011, partii per quello che sarebbe
stato il viaggio propedeutico alla mia attuale esperienza: il Cairo.
In entrambe le situazioni fu il caso a decidere la data. Una
data che porta in sé una sua energia, che ricorda la nascita, nel lontano 1923,
di mio padre.
Quest’anno la partenza per il mio viaggio egiziano è avvenuta
il 30 settembre e con il primo ottobre sono entrata in servizio come volontaria
presso la missione dei padri comboniani al Cairo.
Sempre il caso ha voluto che il 5 dicembre fossi nuovamente
in partenza: un viaggio nel viaggio. Così oggi, 6 dicembre, mi ritrovo qui, nella
semplice stanza di questa piccola missione di suore comboniane a Nazle Khater,
nell’Alto Egitto, a mezz’ora di macchina dalla stazione di Tahta, fra Assiut e
Luxor.
In questo luogo di pace e silenzio, cerco il significato di
questa data ormai ricorrente e intuisco che, oggi, abbia a che fare con la ri-connessione
alla natura.
Viaggio nel viaggio.
Dunque ancora una volta 5 dicembre. Stavolta il viaggio nel
viaggio. Mi sono chiesta di cosa mi avrebbe parlato questo momento. Di cosa
voleva parlarmi? Dopo 66 giorni trascorsi al Cairo, catapultata nel caos di un
traffico senza regola, dove la costante del rumore è invariabile; dopo
sessantasei giorni nei quali sono accadute molte cose, succede che prendo il
treno che mi condurrà qui, dove trovo il tempo per la rigenerazione attraverso
la meditazione e la contemplazione della natura.
Ieri sera, ho descritto così il mio primo intenso sentire
In un silenzio astrale
risuona il canto sacro
e leggiadro delle Suore
guidate dal Padre.
L’anima mia si rigenera
nel buio dei vespri
mentre leggo di storia antica.
A momenti mi soffermo
ascoltando la voce del cuore.
Addormentandomi, la sera, ascolto il silenzio e vi scivolo
dentro come nel caldo abbraccio dell’amore universale di Dio, quello che non
potrà mai tradire né abbandonare.
Il silenzio: voce di
Dio.
Mi sveglio al cantar del gallo accompagnato da un lieve
muazzim. Sono le cinque. Il sonno è stato goduto, fondo e lungo. Il primo
pensiero è per chi è caro al mio cuore. Poi mi metto in ascolto della domanda:
di cosa mi vuoi parlare, viaggio nel viaggio di questo cinque dicembre?
Ascolto, e sento ancora il gallo al quale segue, passati
alcuni respiri, il muggito della mucca affamata. Un cane abbaia in lontananza
senza risposta alcuna. Non lascia la presa, mendico di un solo saluto.
Si accoda, col tempo, il ragliare dell’asino e il tubare
delle tortore.
Ascolto. È la natura che mi parla, quella natura che non
conosco. È giunto il momento, dopo tanto difendere la Natura, di mettere in
accordo il pensiero con la realtà. Di trasformare in prassi personale le parole
mettendo da parte il resto. Dopo tanto impegno politico, ora che ogni cosa si
sta distendendo, come lenzuola fresche di bucato stese al sole, finalmente mi è
concesso di respirare con calma così da vedere e imparare le cose della vita,
dunque della Natura.
Capisco che non può esserci completezza e armonia nella persona
se tutte le parti non entrano in accordo, se non suonano come un unico
strumento. Ed ora le parti si sono scoperte ed incontrate per diventare una,
unica e indivisibile. Solo così può realizzarsi l’unione con l’Universo, con
l’Uno, con l’essere natura nella natura.
Cinque dicembre
duemiladodici. Il mio viaggio ricomincia da tre
La sveglia è carica sulle 6.15, giusto il tempo per vestirsi
ed una rapida colazione. Tutto il resto è già pronto. La piccola valigia che
Valter mi ha lasciato mi accompagnerà in questo viaggio.
La mia sveglia interiore, però, anticipa l’ora e alle cinque
e mezza sono già in piedi. Scendo dal letto direttamente sul tappetino da
ginnastica già steso ai miei piedi. Come buona abitudine, ho preso quella di
fare alcuni esercizi yoga, il Dai Lao appreso con Antonio, mio cognato e
maestro di Viet Tai Chi, per chiudere con il saluto al sole, imparato qui al
Cairo da Kim, il maestro yoga.
Docciata e vestita vado in cucina a preparare la colazione
per me e Diego, mio compagno di viaggio. A dir la verità sono io che mi accodo
a lui, chiamato dalle suore della piccola missione di Nazlet Khater, per
condurre il ritiro meditativo in vista della festa dell’annunciazione, il
prossimo 8 dicembre.
Sul finir della colazione, dal fondo del corridoio arrivano
Sabah, Susu e Abdallah. Noi siamo pronti, un abbraccio alle due ragazze e via,
verso la metro.
Ieri c’è stato lo sciopero generale contro il governatore
Morsi e ci sono stati disordini, morti e feriti davanti al palazzo governativo.
La situazione si sta facendo pesante in vista del referendum sulla costituzione
del 15 dicembre. C’è molta preoccupazione nel mondo cristiano come in quello
liberale.
Uscendo incontriamo Giovanni che ci aspetta per salutarci e augurarci buon viaggio.
Lo abbraccio, ringraziandolo per questa ulteriore
opportunità.
Fuori
Usciti, attraversiamo subito la larga strada davanti a noi
per andare a prendere la metro dall'altra parte. Il traffico è ancora scarso ma
attraversare richiede sempre la giusta dose di attenzione.
Una volta dall’altra parte, Diego mi dice che sono diventata
una vera egiziana. Non so se sentirmi orgogliosa di aver imparato a non morire
investita sulla strada.
La metro arriva subito, due fermate e siamo alla stazione. Anche
in questo caso attraversare è impegnativo ma fattibile.
È presto, il treno parte alle 8 ma è già sul binario n. 8. Da
lì a poco saliamo sulla carrozza numero 2, posti a sedere 8 e 9 che sono uno
dietro l’altro nella fila singola del vagone. Diego mi fa vedere che il sedile
si può girare ruotandolo verso quello dietro. Così facciamo, tanto da poter
scambiare due parole in quello che sarà un viaggio della durata fra le 7 e le 8
ore.
Sì, non v’è certezza dei tempi in questo Egitto. In nessun
caso, in nessun luogo.
Si va
Unica cosa puntuale, oggi, la partenza. Guardo il Cairo dal
finestrino. Ho già fatto quel viaggio nel 2011, fino a Luxor a vedere la valle
del Templi e dei Re. La megalopoli srotola la povertà della sua periferia sotto
i miei occhi in un continuum fino a Giza, dove si ferma per far salire un gran
numero di persone.
Diego legge le notizie di ieri su un quotidiano arabo. Mi
traduce il succo e mi dice degli slogan urlati, tra cui: “disobbedienza civile
completa” e “l’annuncio del referendum sulla costituzione è
anticostituzionale”. Nel mentre io leggo il bel libro di Sebastiano Vassalli, che
racconta di storia etrusca, dal titolo “Un infinito numero”.
In questa prima classe datata e trascurata, si viaggia abbastanza comodi e poco dopo riesco a riposare che sento il peso della sveglia
mattutina.
Paesaggio verde:
respiro degli occhi.
Mi sveglio e finalmente osservo dal finestrino un paesaggio nuovo.
Sullo sfondo il profilo costante della brulla altura, che
segue il Nilo nella sua destra orografica, accompagna lo scorrere della
campagna egiziana.
Tutto in me si riposa e respira in questo treno: la mente
dal rumore costante, gli occhi dal cemento, i polmoni da polvere e smog.
A stridere, in questo scorrere verde, il segno costante di
una povertà culturale diffusa che si fa notare nel susseguirsi di immondizie
lungo i binari e nelle innumerevoli costruzioni abbandonate che parlano di un
diffuso degrado umano e ambientale.
Mentre palme ordinate nobilitano il paesaggio dal color verde
piatto, a tratti spunta una lunga ciminiera che sputa un denso fumo nero.
Un cielo plumbeo ci accompagna fin dalla mattina e dopo un
altro breve riposo, aprendo gli occhi m’accorgo che piove. Miracolo!
Al passare del treno capita che stormi di uccelli bianchi
dalla notevole apertura alare, s’alzino in volo pennellando la macchia verde di
un elegante tocco bianco. Più tardi Suor Lisa mi dirà che si tratta dell’Abu kerdan,
altrimenti detto “l’amico dell’agricoltore” perché mangia gli insetti dannosi
alle coltivazioni. Altri due, mi istruisce con dolce pazienza, sono gli amici
del contadino: l’Abu faasad e lo Hod hud.
Ha forse scordato di darci qualcosa Dio? Direi di no, salvo
che noi non lo sappiamo o vogliamo vedere o sapere.
Visioni dal
finestrino
Sul giungere dell’ora del pranzo, in alcuni siedono in fila
ai bordi dei campi, costumando immagino del cibo.
Il treno, lento come l’intorno, mi consente di osservare il
divenire delle cose con una certa attenzione.
Le strade dritte, che dalla campagna portano nei villaggi,
si colorano di persone e animali.
Alcune donne generalmente dagli abiti colorati, camminano a
coppie portando sulla testa catini ricolmi di generi diversi. Un ragazzo in
bicicletta pedala senza fretta verso un orizzonte privo di case. Dove arriverà,
mi chiedo. Asini carichi di fogliame verde su cui siede il loro padrone,
apparentemente senza orari da rispettare, procedono compostamente. Qualche cane
sfaccendato passeggia senza fretta e rare mucche pascolano mollemente. Ogni
tanto un motocarro, sul cui cassone sta accovacciato un uomo con i capelli al
vento, sfreccia sollevando la polvere. Ma anche i più lenti tuctuc, pizzicano
la carreggiata con le loro ricercate decorazioni.
Il colore della terra cruda, parla di fertilità, ed è come
un’isola in un mare verde. Disegnando geometrie perfette rallegra il triste
grigiore dei villaggi, fino a giungere ai margini delle città dove le periferie che seguono i binari, ci ricordano il degrado con l’immondizia
disseminata ovunque, e ovunque bruciata a cielo aperto.
Sorprendersi
Alcune cose mi sorprendono come il vedere, in un villaggio dall'aspetto molto povero, esposto fuori da una bottega, un vestito da sposa
rosa, vaporoso come quello di Cenerentola nel giorno del suo principesco matrimonio.
A seguire, nel mezzo della campagna, senza un prima né un dopo, sta un muro
bianco, presumibilmente lungo una quindicina di metri, nel mezzo del quale c’è
una porta verde chiusa. Misteri della campagna egiziana.
E ancora, i segni di una civiltà industriale del tempo
giurassico, si palesano con due ciminiere dalle quali spumeggia un denso fumo
nero che viaggia verso sud, trasportato da un vento leggero.
Tutto questo accompagnato dai personaggi di cui sopra.
Seguiamo il profilo di questo paesaggio fino alla nostra
destinazione, Tahta, dove scendiamo attesi da Lisa, sorella del nostro Taddaus,
una suora egiziana dolce e accogliente come suo fratello.
A destinazione
Mezz'ora di macchina trascorsa su strade semi asfaltate,
piene di enormi dossi rallentatori fatti d’asfalto, a volte rotti a metà, certamente
pericolosi come le montagne russe. Ed è all'autoscontro del luna park che si
può paragonare la guida da tenere in questi luoghi. Come se si fosse
scoperchiata una botola da cui escono impazziti mille scarafaggi, così i tuctuc
impazzano per le strade senza alcuna regola. Lisa, imprecando, abilmente si
districa nella ragnatela tessuta da questa follia collettiva. Quando il
brulicare scema, ci indica le piantagioni di Lifa, che producono una lunga
spugna che ho visto al mercato di Helwan.
Come le nostre vigne al meridione, la Lifa costruisce una
specie di tettoia rallegrata dal giallo dei suoi grandi fiori, sotto la quale
pendono una sorta di enormi zucchine. Una volta raccolte e lavorate in un
certo modo, danno vita a lunghe spugne che si usano per lavarsi.
Giungiamo infine al villaggio di Nazlet Khater dove le altre
sorelle attendono Abuna Diego e me.
Sono quattro in tutto: Lisa l'egiziana, Giacinta e Cesarina, italiane e Angzegeberhan l’etiope dal nome impronunciabile.
Non più in giovane età, le sorelle sono tenere e accoglienti Ogni cosa è piccola e dignitosa nella casa di questa comunità. Una pittura azzurro pulito ricca di fiori bluette, adorna i muri donando un particolare
tocco femminile. Ogni cosa, nella sua semplicità è segno di cura e attenzione
femminile. Le sorelle si muovono in maniera armonica fra di loro. Basta
guardarle fare i piatti: chi lava e chi asciuga, chi ripone mentre c’è chi fa
la cucina. Un’organizzazione impeccabile. Il cibo è semplice ma completo.
Dopo il pranzo avvenuto in tarda ora, Lisa mi accompagna in
stanza mentre Diego viene accompagnato da Cesarina alla casa del Padre che lo
ospita per le tre notti che passeremo qui.
Si mettono d’accordo per i primo ritiro alle 17. Ed io mi
corico sul letto, leggendo il mio libro per poi addormentarmi cadendo in un
sonno profondo. Vengo risvegliata, dal canto delle suore.
Sono quasi le sette e mezza, l’ora della cena, ed io scendo
finalmente riposata.
Tornando, ricordo
Dei giorni trascorsi, ne scrivo solo ora, sul treno che ci
riporta a casa.
In questi brevi giorni, in cui lo scorrere del tempo ha assunto
l’incedere lento di questo treno, ho fatto esperienza del trascorrere della vita
in un villaggio nel sud dell'Egitto.
Suor Cesarina ci ha guidato nella visita all'asilo dei
bambini cattolici che si trova nella chiesa, come il dispensario guidato da tempo immemore dall'amabile suor Giacinta. Bambine e bambini vispi, dagli sguardi
curiosi e intelligenti ci salutano in coro intimoriti e incuriositi dalla
nostra presenza. Quando poi Diego si presenta come “Abuna” (Padre), non
nascondono lo stupore per il suo vestire in “borghese”. Da lì a breve arriva l’attesa
ora dell’intervallo ed i bimbi scendono in cortile a giocare. Corrono a
salutare Abuna Diego e si mettono a cantare il loro repertorio in vista del
Natale. Il piccolo Agostino, davvero piccolo e con l’aria più vispa di tutti,
pare già un capopopolo che si mette davanti al gruppo cantando e battendo le
mani. Ci guarda fisso negli occhi in attesa di un cenno d’approvazione, lui, a
cui è stato dato l’importante compito di recitare la parte del Gesù Bambino nel
presepe vivente. La parte di Maria spetta, ci tengono a sottolinearlo, a Simon,
che porta il nome simile al mio. Momenti, questi, di impagabile tenerezza!
Noi e gli “altri”
Passeggiando oltre la chiesa, lungo le strade del villaggio,
Cesarina, con il suo sottile slang veneto ci indica sottovoce le strade dove
vivono i cristiani e quelle degli “altri”. Poi ci tiene a farci conoscere una
donna, una donna davvero buona, che pur vivendo in condizioni molto misere
porta sempre disegnato sul volto un sorriso.
Aprendo la porta, su quell'angolo di terra che è la sua
unica dimora (che di casa non puoi parlare), ci accoglie allungando le braccia
e baciando le nostre mani. Sorride, appunto,
e i suoi piccoli occhi azzurro chiaro, sprofondati nei solchi delle
rughe del suo volto, parlano di una serena accettazione del suo destino.
Sempre con questa serenità di fondo, inizia il racconto
delle fatiche della sua giornata passata ad occuparsi degli animali che vivono
con lei ed il figlio.
Prima di lasciarla, Padre Diego le da la benedizione ponendo
le mani sulla piccola testa china. Un momento, questo, denso di sacralità che
commuove l’anima nel profondo.
Torniamo per il pranzo e a tavola la conversazione passa
dalla vita del villaggio, alla rivoluzione in atto, per arrivare alle altezze
del campanile della chiesa con la croce e quella del minareto della moschea; il
tutto passando sempre per l’amore e la volontà di nostro Signore.
Dopo il pranzo ed il riposo pomeridiano, arriva l’ora della spiritualità e dei Vespri.
Il giardino di Lisa,
tempio di meditazione
Anche per me è il momento della meditazione e della lettura.
Dedico anche del tempo alla scrittura affinché il percorso meditativo, così
come tante sensazioni ed emozioni provate, non cadano nell'oblio.
Molto del mio meditare si svolge nel piccolo “Giardino di
Lisa” dove occupano uno spazio importante le piante da frutto e “l’Orto di Lisa”.
Quando si dedica a mostrarmi il suo orto, ma anche tutto il
suo giardino, Lisa esprime un amore profondo per le sue creature, raccontandomi
il susseguirsi delle vicende accadute in quel fazzoletto di terra.
La vigna, ad esempio, prima rigogliosa, è ora quasi defunta
a causa di un’errata potatura fatta da non so chi ed è in atto un tentativo di resurrezione Poi mi racconta delle palme da dattero e di come si fa a
fecondare la femmina con i fiori del maschio (cosa che viene fatta solitamente
a mano dall'uomo); la gauafa, una pianta di cui si usano i frutti e le foglie
per le tisane. E, ancora, la papaia femmina e i tre ancor piccoli maschi della
papaia … di cui frutti e foglie hanno anch'essi proprietà curative importanti.
E poi l’angolo del verde, con gli spinaci, l’insalata, le
biete, i pomodori italiani, il prezzemolo non prezzemolo (di cui non ricordo il
nome!), il particolare basilico egiziano, leggermente diverso dal nostro, il
rosmarino … e tanti fiori e rampicanti che adornano questo angolo di paradiso.
L'occhio dell'anima
Quando mi ritrovo lì da sola, immersa nelle mie meditazioni,
mi prendono i raptus fotografici e incomincio a scattare foto con l’occhio
interiore della mia anima che vede oltre ciò che vede l’occhio esterno. Se potessi
tuffarmi dentro ogni singola foglia, fiore, frutto, lo farei per sentirmene
parte e guardare da lì dentro il mondo, allo stesso modo di come loro vedono
me.
L’eterna brevità del
tempo
Trascorrono così tre brevi ed eterni giorni e altrettante
notti dormite, come Dio comanda, nel silenzio della campagna, animato da suoni dal
sapore ancestrale per chi, come noi, vive immerso nel caos metropolitano.
In questi tre brevi ed eterni giorni, si è stabilita una
felice sintonia con Lisa e la altre sorelle. Mi sono sentita circondata da
coccole discrete ma molto efficaci per il mio spirito che si è sentito accolto
come a casa.
Ricordo tutto questo qui, seduta in questo treno.
È già ora di tornare
Stamani al risveglio, mentre già correva il tempo delle Lodi
mattutine, ho preparato la mia valigia nella quale avrei riposto, poco più
tardi, le foglie di guafa raccolte, lavate ed asciugate, che avrei portato a
casa per fare la tisana serale guaritrice della tosse.
Scendo quando le sorelle si affaccendano nei preparativi
della colazione: il dolce fatto ieri da Lisa sta in mezzo alla tavola, ancora
nascosto sotto un lindo tovagliolo. Il latte munto di fresco è giunto a bollore
ed il profumo del caffè ci indica che è il momento di accomodarci.
Cesarina, come sempre, inaugura la tavola con la preghiera
del ringraziamento.
Ultimi sguardi verdi
Prima di partire, come promesso, Lisa mi porta a fare un
giro nella campagna lì fuori. Indicandomi quella alla nostra destra mi dice che
è tutta dei cristiani mentre l’altra, alla nostra sinistra, è “loro”.
Offre davvero di tutto questa verde campagna: pomodori,
peperoni, patate, aglio, cipolle, grano, mais, ogni tipo di erba verde e palme
da dattero, palme e ancora palme.
Sorelle di pace
Mi racconta, questa piccola donna brillante ed energica, ma
anche tanto dolce, di solo qualche anno più grande di me, di come la presenza
delle suore sia stata portatrice di pace fra le due religiosità. Mi narra di
quando agli albori del loro arrivo, qualcuno andò alla polizia per dire che non
le voleva, che non potevano farle stare. Allora gli altri abitanti del
villaggio, che di questo avviso non erano, andarono anch'essi dalla polizia
dicendo che se non avessero concesso loro di avere una casa propria, avrebbero costruito degli spazi nelle loro case dove farle vivere.
Così il permesso venne concesso e da allora la pace si fece
più stabile.
Le loro attività hanno aiutato le persone a crescere
attraverso i corsi di alfabetizzazione, l’educazione all'igiene e al cucito, le
cure mediche e l’attenzione che spesso solo le suore missionarie, sanno donare
con vera gratuità.
Amare il tempo
Ho amato intensamente questi pochi giorni che ripercorro
volentieri lungo questi appunti di viaggio, su questo treno così lento che ci
fornisce una grande lezione di pazienza. Ora torniamo a casa, al Cairo, dove ci aspetta il proseguire di un’importante
rivoluzione che speriamo scriva, questa volta, una pagina di vera democrazia di
cui questo Paese ha tanto bisogno.
Un abbraccio
Grazie Simo per avermi fatto partecipe delle tue emozioni... della tua anima. Ti voglio bene. Lory
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