... mi commuove la sua profonda spiritualità e desidero condividere questo bell'articolo che bene racconta di lui.
!سلام
Simonetta
La sacrosanta verità di Leonard Cohen
di Max Granieri - pubblicato il 15 marzo 2010
“Come un uccello sul filo, come un ubriaco in un coro di
mezzanotte, ho provato a modo mio ad essere libero”. È un passaggio di “Bird On
The Wire” di Leonard Cohen, un ebreo non osservante, uno spirito libero e
inquieto che semina chiunque tenti di spiegare la sua poesia.
Cohen nasce in Canada il 1934, adolescente suona il folk e
il country, studia letteratura scrivendo raccolte di poesie. La prima “Let Us
Compare Mythologies” pubblicata nel 1956 dopo gli studi universitari alla
McGill University di Montreal. Si trasferisce a New York, frequenta il
Greenwich Village, la mecca del folk americano, e in quella fucina di talenti
(Dylan e Paul Simon) inizia a musicare i suoi poemi.
Sull’isola greca di Hydra scrive “The Spice-Box Of Earth” e
il suo primo romanzo “The Favourite Game”, tradotto e pubblicato in Italia nel
1975 con il titolo “Il gioco preferito”.
Storia autobiografica di Lawrence Breavman – figlio di un’antica famiglia ebrea
di Montreal – in cui s’interroga sulla
morte, l’amore e la guerra, quesiti esistenziali diluiti poi nelle sue canzoni.
Segue il racconto “Beatiful losers” nel 1966, dopo aver
pubblicato “Flower For Hitler” e altre poesie in “Parasites of Heaven” che
include “Suzanne”, testo riproposto
nella forma-canzone da Judy Collins (inciderà anche “Dress Rehearsal
Rage”). Il brano più coverizzato del
repertorio di Cohen, insieme ad “Halleluja”.
“Suzanne” in Italia è interpretata da Fabrizio De André, il
quale eseguirà cover del repertorio di Cohen nell’album “Canzoni” del 1974. In
“Suzanne” c’è un filo che lega Faber a Cohen. È nota la predilezione di Fabrizio per Cristo (spettatore in
“Suzanne” delle seduzioni della protagonista) e per gli emarginati e i perdenti, quelli messi da parte dalla cultura
tutta occidentale del vincitore: “Per chi viaggia in direzione ostinata e
contraria/ Col suo marchio speciale di speciale disperazione/ E tra il vomito
dei respinti muove gli ultimi passi” [Smisurata Preghiera]. Il riscatto dei vinti – liet motiv del Nuovo
Testamento – avvicinerà pure Leonard Cohen a Cristo. Dirà in un’intervista: «È
nella sconfitta che si manifesta la gloria dell’uomo». Ricorda
un’affermazione di San Paolo: «Quando sono debole è allora che sono forte»
(2Cor 12,10), l’apostolo che citerà nel brano “The Future”.
Restituiscimi il muro
di Berlino, Stalin e San Paolo
Ho visto il futuro: si
chiama assassinio…
L’apostolo è
l’emblema dell’uomo vizioso, redimibile solo da un salvatore, l’essere
sbagliato verso cui Leonard concentrerà la sua riflessione. Le depravazioni
elencate nella canzone “The Future” e il parallelismo tra Charlie Manson,
Cristo e Hiroshima; sono la prova
evidente del pensiero di Cohen sull’uomo ricco e potente, non più tale perché
ha dimenticato il fondamento della sua umanità. Paolo di Tarso ne è la
rappresentazione massima: macchiatosi di gravi colpe mentre era lontano
dall’origine divina, alla luce di una rivelazione, si pente e brama la
redenzione. Lo canteranno gli schiavi neri con gli Spirituals, lo biascica
Johnny Cash nell’ultimo “America VI – Ain’t No Grave”. Cohen no. L’ateismo pratico lo allontanerà
velocemente da quel Dio che ha affidato all’uomo – la creatura peggiore – la
custodia del mondo, l’ominide fatto a sua immagine (Genesi 1, 26) che invece di
vigilare sul creato, lo piega alle sue voglie.
Cohen, alla sua maniera, cercherà la stessa illuminazione
divina apparsa a un persecutore di Dio sulla via di Damasco, per risvegliare
l’umanità dal torpore di spirito, profetizzando
con toni apocalittici il destino che attende l’uomo se non cambierà condotta di
vita.
Le cose stanno
scivolando via in tutte le direzioni,
non ci sarà più niente
che si possa misurare,
la burrasca del mondo
ha attraversato la soglia
e ha rovesciato
l’ordine che avevano le anime,
mi chiedo cosa
volessero dire quando mi ordinavano di pentirmi.
Il finale di “The Future” testimonia il mancato
coinvolgimento di Cohen in un qualsiasi processo di rinascita. Nessuna fiducia in Gesù, nessuna attesa di
vittoria della vita sulla morte. Canta l’uomo e il suo vano tentativo di
ridisegnare il progetto redentivo del
Creatore. Leggendo la storia del mondo, s’accorge che l’uomo è malvagio, crudele, spietato e schiavo delle sue passioni. Lo canta in
“Halleluja”. Storia del re Davide innamorato di Betsabea, moglie di un hittita
e suo soldato Uria, mandato al fronte e ucciso per difendere il regno di quel
re che gli ha tolto il bene più prezioso, la sua donna (2 Samuele).
Gli albums “Recent Song”, “Various Position” e “The Future”
lo condurranno a postulare la verità in un monastero buddista alle porte di Los
Angeles, per sette lunghi anni. Ne uscirà convertito, consolato dalla fede in
Buddha. In quel monastero comincia una nuova vita. Il Signore comunque rimane un punto fermo nella sua ricerca; la Bibbia uno “spazio” dove cercare la
bellezza e la verità, entrambi cardini della prosa musicale di Leonard Cohen.
Sfoglia la Sacra Scrittura e impersonifica un comandante o un partigiano, poi
l’errante e ancora il cacciatore. Maschere e personaggi bisognosi della
provvidenza soprannaturale di Dio per dare senso al tutto, specie al
fallimento. All’ascoltatore basterà
frugare in quei dischi per comprendere la spiritualità di Cohen. Contempla la donna e le sue qualità: dare la
vita, amare, proteggere e sedurre come
Dio, in contrapposizione ai maschi quasi sempre sottomessi o conquistati
dal fascino femminile, figure deboli e ambigue.
In “Anthem” canta di “assassini nelle alte sfere che
strepitano le loro preghiere” e fautori di disordini. La visione che Leonard ha
dell’uomo sembra catastrofica, senza speranza né via d’uscita, ma quando la
violenza sta per avere il sopravvento su ogni possibilità di pace
(simboleggiata dalla colomba biblica), quando l’ombra della morte minacciosa
avanza, ecco una luce che passa attraverso il dolore del mondo:
Suona ancora le
campane che possono ancora suonare
dimenticati la tua
offerta perfetta
c’è una crepa su ogni
cosa da cui passa la luce…
Uno dei momenti più alti della scrittura di Leonard Cohen,
come per “Our Lady Of Solitude”, canzone sulla fede, o meglio, su una fede
desiderata e mai posseduta. Il pessimismo nell’analisi della condizione umana
nasce da questa dono forse ancora non ricevuto dall’alto dei cieli. Un Tommaso
moderno, sempre incredulo, che definisce la fede rivelata come “il vascello del
mondo intero”, la nave che trasborta Cohen verso la religiosità orientale. La
fede intesa come “signora” è per tutti, lui escluso.
E il suo vestito era
blu e d’argento
le sue parole poche e
brevi,
Lei è il vascello del
mondo intero
Signora, Signora di
noi tutti.
C’è un brano che impressiona più di tutti. Se “Story of
Issac”, rilettura del sacrificio di Isacco, condanna gli adulti che “incombono
sui bambini con le scuri spuntate e sanguinanti”, “The Great Event” – il brano
che chiude l’album “The Future” – pare riassumere l’Apocalisse, guarda caso
l’ultimo libro della Bibbia. Il grande
evento prossimo a realizzarsi: ci saranno terre e cieli nuovi da abitare, ci
sarà un futuro per l’uomo nonostante le sue nefandezze. E’ il vaticinio di un
profeta digitale e alieno alla Terra (la
voce narrante è digitalizzata al computer): uno spirito informatico annuncia la
fine del dolore, simbolo poetico futurista che indica fiducia nel progresso della
razza umana, nonostante tutto.
Succederà molto
presto,
il Grande Evento che
metterà fine all’orrore,
che finirà il dolore,
martedì prossimo, quando il sole tramonterà,
e suonerò la sonata
del chiaro di luna all’incontrario.
E questo rovescerà gli
effetti della folle corsa del mondo
in sofferenza per gli
ultimi 200 milioni di anni.
Che notte meravigliosa
sarà.
Che sospiro di
sollievo quando i vecchi pettirossi
Diventeranno di nuovo
scarlatti,
e gli usignoli in
pensione solleveranno le code dalla polvere
e dimostreranno
l’esistenza della maestà della creazione.
L’illuminazione che
cercava Cohen l’ha raggiunta lontano dal gregge di Gesù, quel recinto
abbandonato dopo aver raccontato le gioie, i godimenti e le sofferenze del
popolo di Dio. Ora è libero nel suo nirvana, sollevato dal dolore e in pace.
Citando “If It Be Your Will”, una preghiera laica che solo un santo è in grado
di scrivere… che la voce di Leonard Cohen non resti muta, che continui a
parlare e a dire la verità da questa
collina di sofferenza.
Se vorrai farci del
bene
portaci vicini e
legaci stretti
tutti i tuoi figli,
qui
nei cenci di luce
nei nostri stracci di
luce
pronti per uccidere
e terminare questa
notte
se vorrai così,
se sarà il Tuo volere.
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