lunedì 1 aprile 2013

Rientro a rate.

Premessa. Per questioni di tempo, scriverò a "rate" cronaca, pensieri e sensazioni dell'ultimo periodo passato in Egitto. "Rate" che tengo a pubblicare mano a mano che scrivo, per "obbligarmi" a trovare il tempo per portare a termine il diario di questi sei mesi. Per quanto riguarda le foto, poi, avendone fatte in quantità esagerata, si presenta la necessità di un grande lavoro di sfoltimento, per cui il tempo aumenta, ma è altrettanto vero che il desiderio di elaborare la grande mole di "cose" entrate dentro di me è così grande, che troverò tempo e calma per cesellare con amorevole passione i miei ricordi.
Salam habibi!
Simonetta

Rientro.
Giovedì 28 marzo.
Mi è difficile raccontare delle emozioni provate prima,durante e dopo il rientro a Trento.
Solo ora capisco cosa intendeva padre Giovanni quando, agli albori della mia esperienza al Cairo, mise in previsione una settimana di vacanza prima della mia partenza che, a posteriori, ho definito “camera di decompressione”.
Lunedì 18 marzo, ore tre del mattino. Fawzi ci aspetta con il taxi sotto casa. Con Valter silenziosamente scendiamo con una piccola valigia, lo zaino e un bel po’ di sonno e, salutato il portiere di notte, saliamo in macchina diretti all'aeroporto  E’ davvero incredibile correre lungo le strade del Cairo a 100 kmh e raggiungere l’aeroporto in 25 minuti, quando durante il giorno ci vogliono almeno due ore, passate per lo più in infinite e rumorose code.
Osservo il panorama della città scorrere sotto i miei occhi, ancora assonnati ma curiosi e stupiti di vedere, ad esempio, lo svolgersi di una partita di calcio nei pressi del quartiere di Heliopolis.

Terminal 3, Egyptair, domestic fly, direzione Abu Simbel.
Arrivati a destinazione ci aspetta Emad, la nostra guida che ha organizzato la crociera con le visite da Abu Simbel a Luxor passando per File, Asswan e Idfu.
Emad l’avevo conosciuto nel mio precedente viaggio in Egitto: persona squisita, molto preparata e, cosa che non guasta, una piacevole compagnia.

Ha inizio così il nostro viaggio nel mondo dei faraoni che ha ben poco da invidiare alle artistiche bellezze italiche. Ogni tempio, ogni tomba dalle più antiche piramidi alle successive nascoste nel profondo della terra desertica dell’Alto Egitto, non potevano che creare il detto “è un’opera faraonica”.
Non c’è tregua per gli occhi, né per le orecchie che ascoltano la piacevole narrazione di Emad.  Le emozioni, poi, sono sottoposte a continui sobbalzi e sospiri, in una sorta di eccitazione continua che si manifesta con un irrefrenabile desiderio di fotografare ogni cosa come se fosse la più importante.
Anche quanto avevo già visto nel 2011, mi ha regalato stati d’animo magici come fosse la prima volta.

Una nota a parte e speciale merita il Nilo. Questo fiume che con la sua storia e la sua personalità ti regala, nello scorrere delle sue acque, emozioni vive e intense per i verdi e morbidi paesaggi che offre agli sguardi privilegiati, comodamente seduti sulla terrazza della nave.

Le opere faraoniche mi affascinano. Entrano nel mio profondo dove lasciano quel sapore speciale che solo la storia antica sa regalare. Si rimane quasi atterriti da tanta imponenza che viene aumentata dalla mescolanza dei colori: le diverse sfumature dell'ocra vengono improvvisamente tagliate da una sequenza di decisi azzurri e blu. In questo contrasto ci scappano alcune note di quel verde desertico che, con eleganza e discrezione, si insinua nell'insieme del paesaggio.

Lasciamo Abu Simbel con la macchina e raggiungiamo Idfu dove ci fermiamo per una visita terminata la quale proseguiamo fino ad Aswan dove saliamo sulla nave Semiramis III°.
Sono davvero emozionata.
Ciò che mi preme ricordare non sono tanto "i nomi" delle cose che ho visto, quanto le emozioni che mi hanno regalato. Ci sono stati momenti, come quando siamo entrati nella sala delle colonne del Tempio di Luxor, in cui, non ho potuto fare a meno di abbracciare le colonne e stendermi a terra guardando la loro maestosità esplodere verso l'alto.
Anche il mio cuore pareva esplodere dinanzi a tanta meraviglia.
O i momenti in cui mi sono sentita letteralmente rapita dai colori ... quel certo blu cobalto entro cui si stagliano prepotentemente le antiche vestigia; la scala di arancioni di cui i tramonti ci hanno omaggiati ma anche, con pari dignità, le tante sfumature ocra del deserto, intrecciate con il granito rosa e nero dei monumenti. Da morirne.

Ci sono stati attimi in cui avrei voluto fondermi con il tutto anziché tentare di rapire quell'immagine con l'occhio digitale della macchina fotografica. Avrei voluto essere colonna, statua, sabbia, sasso, Nilo, deserto, bassorilievo, cielo, pianta ... ma anche solo stelo d'erba secca piegato dal vento.
Avrei voluto liquefarmi spargendomi ovunque per entrare in ogni cellula, particella del tutto per vedere e diventare parte di quella storia.

Sulla terrazza della nave, scorre placido il Nilo sotto i nostri occhi. Paesaggi verdi e silenziosi lambiscono le rive del maestoso fiume lasciando alle loro spalle l'ininterrotto scorrere della montagna oltre cui giace il deserto. La Valle del Nilo, una delle più grandi opere dell'Universo.
Dove la nave attracca possiamo godere la vista dello scorrere della quotidianità nei villaggi egiziani: Tuctuc, carretti trainati da asini, cammelli, bambini che urlano verso le navi chiedendo una ghinea, un euro, un dollaro ... basta uno ... e mi si stringe il cuore.
Lungo il suo scorrere passiamo anche la barriera di Isna. Seguiamo con attenzione il suo aprirsi  che consente alle navi di entrare per poi vedere il suo richiudersi fino a completare il passaggio.
Ancora una volta mi si stringe il cuore nel vedere uomini e bambini accorrere sia con le barche che a piedi sui pontili ai lati della nave, per vendere la loro merce: chi una galabìa, chi un asciugamano, chi foulard ... e tutti che ti chiamano "madam" ... e c'è chi lancia in aria le proprie cose fino a farle giungere ai passeggeri che, dopo averle esaminate, le ributtano indietro. Io sto male nel vedere queste cose, provo una sensazione profonda di impotenza e decido di ritirarmi, chiedendo intimamente scusa per non reggere il confronto.

Emad ci guida con maestria nei meandri della storia e delle sue leggende. Sulla nave si mangia bene e il personale è gentile e molto professionale. La stanza è comoda e dopo tanto penare il rumore del Cairo, il mio sonno si cala nel profondo silenzio del fiume che mi culla nel suo liquido amniotico. Tutto mi pare perfetto, come un dono di Dio.

Il viaggio nel mondo dei faraoni si conclude a Luxor. Dopo la visita serale al Tempio illuminato situato in centro città, il mattino seguente abbiamo visitato la valle dei Re e delle Regine e il Tempio di Karnak. Come nel 2011 rimango stupefatta dalla magnificenza del Tempio della regina Hatshepsut a Deir el-Bahri incastonato in una parete di roccia. Una donna, Hatshepsut, che ha scelto di governare al posto del figliastro di soli 6 anni (lei aveva avuto solo due figlie femmine) come fosse un faraone tanto da raffigurarsi come un uomo per incutere rispetto. Una donna di ammirevole coraggio.

Dopo tanta meraviglia, ora ci aspettano tre giorni di grandi emozioni.
Alle otto della mattina del 21 marzo, primo giorno di una nuova primavera, Emad viene a prenderci assieme all'uomo che ci condurrà, attraverso 8-900 km di deserto, da Luxor all'osasi di Farafra dove ci aspettano Padre Giovanni con Suor Sandra (colombiana), Suor Teresa e Suor Fidelina (spagnole).

Silenziosamente il nostro autista beduino ci guida attraverso paesaggi desertici che rapiscono, in un continuum senza sosta, i nostri sguardi. Ciò che ci stupisce è vedere come grandi tratti di deserto stiano subendo un processo di bonifica. Impianti di irrigazione a goccia o ad ombrello, risucchiando l'acqua da pozzi profondi 40 metri, bagnano la terra riportata dove, timidamente ma con un grande coraggio, si affacciano  nuovi e verdi virgulti.
Meraviglia delle meraviglie! Scopriremo più avanti che il governo regala pezzi di deserto a chi investe nella costruzione di pozzi profondi almeno 40 metri. Non solo. Ci dicono anche che dal satellite hanno visto che sotto il Deserto Bianco (che è parco nazionale) giace il lago più grande dell'Africa. In questo viaggio che in dieci ora ci porta all'oasi, abbiamo fatto due sole soste.
La strada, una lunga fettuccina fra due ali di sabbia, è in continua manutenzione. Tratti di asfalto grattato, in attesa di essere riasfaltato, ci hanno costretti ad un'andatura rallentata. Ogni tanto una ruspa provvedeva a liberare la sede stradale dall'invasione della sabbia portata dal vento.

Vento che, nel suo incedere a volte anche molto intenso, forma e deforma l'ambiente. A momenti abbiamo la sensazione che all'orizzonte si trovino grandi distese d'acqua: sono i miraggi, gli scherzi della luce. Ne avevamo già visti con Emad, attraversando il deserto da Abu Suimbel ad Aswan.
Raggiungiamo così l'osai di Farafra dove veniamo accolti nel luogo che rappresenta il ritrovo comunitario: una costruzione in canna di bambù, a pianta quadrata con tetto a quattro falde. Un'apertura sul davanti ci introduce in un ambiente caldo e accogliente. I tipici tappeti colorati coprono tre quarti del pavimento e tutto in giro all'angolo destro opposto all'entrata sta una panca bassa con dinanzi un tavolo ad L.

Due finestre, chiudibili con una tenda tipo veneziana dello stesso materiale delle pareti, forniscono parte della luce all'ambiente. Da una delle due finestre vengono riforniti cibo e bevande ed è così che prendiamo prima un te e poi, più tardi, la cena con p. Giovanni e le sorelle.
Cibo semplice e ben piccante, accompagnato dal classico pane arabo, soddisfa i nostri palati mentre il resto del corpo chiede di stendersi e riposare.
Ahmed, uno dei due fratelli proprietari dell'"albergo" -per inciso due bellissimi beduini- ci accompagna nelle stanze fresche di ristrutturazione e di temperatura.
Giovanni si ricorda che, la volta precedente in cui era stato lì, erano andati a bagnarsi in una vasca alimentata da una fonte di acqua calda termale ferruginosa e sulfurea e chiede se è possibile ritornarci.
Ahmed ci accontenta e in men che non si dica ci troviamo sulle jeep diretti fuori dal villaggio. Dieci minuti di tragitto e ci troviamo nel buio più totale ai bordi di un campo coltivato dove sta la vasca. La stessa, intravediamo, si dipana lungo il campo in un susseguirsi di vasche dove l'acqua prosegue il suo viaggio, utilizzata per l'irrigazione.

In un batter d'occhio rimaniamo con la biancheria intima e ci tuffiamo in questa meraviglia della natura ... l'acqua viene risucchiata da un pozzo e gettata nella vasca attraverso un tubo del diametro di circa 35 cm. Il getto è fortissimo ed è bellissimo mettersi sotto cercando di resistere alla suo potenza.
Poi nuotiamo avanti e indietro, andiamo sott'acqua, ci rilassiamo galleggiando su dorso. Risaliamo e con asciugamani improvvisati ci tamponiamo alla bell'e meglio e ci rivestiamo. Si rientra.
Ora è finalmente l'ora di andare a dormire. La stanchezza mi fa realizzare che alle otto di quella mattina eravamo scesi dalla nave in sosta a Luxor e che ora stavamo a quasi mille miglia ... Come ormai mi ero abituata a fare poco dopo essere arrivata al Cairo, ho vissuto ogni istante intensamente, cercando di cogliere colori, odori, sapori, sensazioni fisiche, mentali e dello spirito. Una spugna assetata di emozioni e conoscenza della vita.
Il giorno dopo ci saremmo alzati presto. Alle otto avremmo avuto la nostra colazione e saremmo partiti con le due jeep per la nostra esperienza nel deserto bianco, dove avremmo passato due giorni. Avendo deciso di tornare al Cairo con la corriera delle 8 della mattina di domenica 24, con Ahmed abbiamo scelto di passare una sola notte nel deserto. Così la serata con la musica beduina, che era stata prevista per la seconda notte nel deserto,  è invece stata organizzata nell'albergo. Dunque andiamo a dormire ... stanchi ma davvero felici.

La sveglia suona, sono le 7.30. Quel poco che serve è pronto nello zaino. Usciti dalla stanza veniamo accolti da un cielo color sabbia e da un vento forte. Andiamo nella casa di bambù per la colazione: caffè turco, te, pane arabo, marmellata, il classico formaggio fresco bianco e salato e frutta. Ahmed ci avvisa che dovremo rimandare la partenza a causa della tempesta di sabbia che viene da Nord. Rallentiamo così il tempo della colazione e poi torniamo in stanza in attesa della partenza. Elsa mi scrive un messaggio dicendo che a Cairo si sono svegliati con una fitta nebbia di sabbia ed un vento forte. Rispondo che anche noi siamo bloccati ...
Passiamo il tempo riposando, leggendo e chiacchierando. E' comunque rilassante questo posto e lo stato della mia anima si immerge volentieri a questa pace. Arriva mezzogiorno e si decide di partire. Le condizioni del tempo sono migliorate anche se non del tutto.
Ci dividiamo sulle due jeep: io e Valter con il nostro autista ed un altro giovane beduino
Gli altri 4 sono sull'altra jeep guidata dal bel fratello di Ahmed. Sulla nostra “testa” stanno tutte le cose necessarie per mangiare e passare la notte.

L'avventura ha inizio e dopo una decina di minuti ci troviamo già a correre lungo una nuova fettuccina srotolata nel deserto. Passa circa un'ora e improvvisamente le jeep virano a sinistra entrando direttamente sulla sabbia.

Un brivido corre sotto la mia pelle: finalmente sono dentro il deserto. Mi vengono in mente le letture di Amos Oz e Abram Yehoshua, scrittori israeliani, due fra i miei preferiti. Ricordo come riuscivano a farmi sentire parte di quel deserto che a tratti descrivevano, e come ho sempre nutrito il desiderio di starci dentro.

E allora eccomi dentro il deserto! Dire meraviglioso è dire poco: affascinante, caldo, morbido, ampio, eterno nei suoi orizzonti ingovernabili ... un universo color ocra, a tratti bianco, ogni tanto cosparso di una pioggia di piccoli segni neri, come se qualcuno avesse disegnato la sabbia con la china.
Ci fermiamo ad una piccola oasi dove le nostre guide ci preparano il pranzo. Altre due jeep sono già lì e dei turisti francesi stanno mangiando mentre un gruppo di giovani beduini suona musica tipica. Le percussioni regalano suoni intensi e avvolgenti. Facciamo un giro di perlustrazione e, tra le sensazioni che provo, trova particolare spazio quella che mi fa provare l'emozione di stare in una dimensione che pare non avere confini. Lo sguardo non trova ostacoli davanti a sé e provo un brivido pensando che potrei camminare all'infinito.
Ma le guide ci richiamano, e dopo aver saggiato con le mani l'acqua della sorgente vicino al piccolo palmeto, pranziamo. Poi ci concediamo un breve riposo. Il caldo si fa sentire anche se il vento ne diminuisce la portata.
Viene il momento di ripartire. Il nostro autista è davvero bravo e si diverte a condurre la piccola carovana.

Merita che riporti la descrizione del Deserto Bianco della guida del Touring sull'Egitto:
Circa 30 km a nord dell’oasi di Farafra. Il Deserto Bianco è caratterizzato da formazioni gessose che, con l’erosione del vento, hanno assunto le forme più diverse. Soprattutto all'alba e al tramonto, il colore delle rocce, le loro forme, il silenzio che avvolge ogni cosa, creano un’atmosfera di surreale, metafisica bellezza. Attenzione però: si tratta di un’area assolutamente desertica e prova di riferimenti dove è facile perdere l’orientamento, restare insabbiati o danneggiare l’auto. Si raccomanda pertanto di compiere il giro in compagnia di una guida locale, senza allontanarsi di molto dalla strada principale e di portare comunque provviste di acqua,
cibo e riserve di carburante.

È quasi impossibile descrivere l’intensità provata nel vedere bianche sculture e monumenti di gesso stagliarsi nell'incrocio delle immensità di cielo e terra. A vedere come a vigilare questa meraviglia, ci sia un’implacabile palla di fuoco, grande, ma così grande e vicina che sembra quasi di poterla raggiungere.

E mentre tu guardi tutto questo in silenzio, con gli occhi sgranati come a non voler perdere nemmeno un pixel di tanta meraviglia, ad un certo punto ti pare che il tutto stia guardando te. Ti guarda e ti chiede “chi sei tu?”. In quel momento ho sentito, in un luogo preciso dentro di me che riconosco come il luogo della meditazione e della preghiera, la risposta. “Sono parte di tutto questo. Sono sabbia, sono aria e sono vento, sono gesso, ciuffo d’erba, scarabeo, oasi. Sono sole cocente, sono beduino, sono roccia e orizzonte. Sono notte, luna e stelle, e sono la volpe del deserto in cerca d’acqua. Sono tutt'uno con l’Universo che mi contiene e che contengo. Lo sono, perché siamo fatti della stessa sostanza: siamo polvere di stelle.



Giriamo, dunque, per il deserto. Le jeep tracciano la sabbia correndo, a nostra insaputa, verso mete precise. A volte si distanziano l’una dall'altra prendendo strade diverse. Ogni autista intuisce e sceglie quale è la strada migliore per la sua guida. A momenti le guide fermano le jeep per farci ammirare, assaporare il paesaggio, fare foto, esplorare il deserto saggiando la sabbia con i piedi … o scendere una duna rotolando distesa a terra, come ho fatto, tornando per un attimo bambina.

Poi arriva l’ora di trovare un posto per la notte. Girano ancora i nostri beduini, controllano i posti a loro noti, cercando il posto adatto, riparato. Dopo un certo girovagare ci fermiamo a ridosso di una formazione di gesso a forma di ciotola rovesciata. Le jeep vengono posizionate a L e un telo tirato all'interno ricopre le macchine creando una sorta di parete ad angolo. Poi tappetini, e vettovaglie. Griglia e fuoco acceso. Mentre loro preparano, noi continuiamo a girare e fotografare.
Ci ritiriamo in meditazione salendo sulle formazioni gessose più grandi. Osserviamo l’infinito tutt'attorno a noi. Cerco di fare tesoro di tutto questo e ringrazio Dio per ogni singolo giorno passato in Egitto. Penso ai miei bambini e a Suor Teresa, e penso che loro, come i tanti altri conosciuti in questi mesi, sono figli di questa terra, eredi del Nilo e del deserto. Figli preziosi di una terra ricca di storia e di sofferenza.  La terra della fuga della Sacra Famiglia.

Viene l’ora del pranzo. I nostri “angeli” trovano il solito posto adatto, riparato dal sole ormai cocente e magico come non mai. Giovanni, come aveva già preannunciato, va in cerca di un posto dove fare un momento di condivisione che, chiamare “messa”, per come siamo abituati a viverla in Italia, è molto riduttivo. Certo, i canoni del rito ci sono tutti, ma siamo noi diversi. Giovanni celebra in spagnolo e Sandra e Teresa leggono le letture. Ma il vangelo e la sua interpretazione, Giovanni li tratta in italiano. Un grande onore per me! Poi, come è usanza fare quando si è in una situazione di intimità come questa, arriva il momento della condivisione. Momento per me speciale perché finalmente posso raccontare il mio pensiero sul vangelo.
I beduini aspettano il termine della messa e poi ci invitano ad accomodarci. Ottimo pranzo e successivo riposo. Dopodiché risaliamo sulle jeep diretti a casa. Facciamo un anello per cui vediamo un’altra parte del deserto bianco e, come sempre, sono previste le soste nei posti più suggestivi.

Arrivati a Farafra, prima di rientrare alla base, ci fermiamo a visitare il locale museo dove espongono artisti locali. Decisamente affascinante, tanto che nonostante la stanchezza, non posso trattenermi dal girare ogni dove, fotografando e facendo qualche breve video (qui i video, video, registrati all'esterno del museo). Alcune opere sono molto suggestive, altre sono così intense che parlano,

Infine, stanchissimi, raggiungiamo l’hotel e ci tuffiamo a pesce nelle stanze a fare la doccia e a riposare prima della cena e della serata di musica beduina (video).
Arrivano i nostri suonatori mentre siamo già accomodati al nostro tavolo. Che dire se non che alcuni di loro, sono davvero uno ”schianto”? E’ proprio così: belli, fascinosi, un ritmo carico di emozioni nel sangue, mani che suonano gli strumenti a percussione come fossero parte integrante del corpo.

Accade spesso che la musica, questo tipo di musica in particolare, entri nel mio sangue e che i piedi trascinino il resto del corpo nella danza, vincendo ogni remora. Ma questa volta sono troppo concentrata sull'ascolto delle loro voci così forti e calde., sulla visione delle mani sugli strumenti, dei loro sguardi così intensi, così musicali.  Un tourbillon di emozioni viaggiano al ritmo di questa musica così avvolgente e coinvolgente di cui volentieri divento preda consapevole.
Arriva il momento della pausa e ci accorgiamo che è già tardi, che
dobbiamo preparare i nostri bagagli e caricare la sveglia per la colazione e la nostra partenza con il pullman delle 8.
Ci accomiatiamo così, se pur a malincuore, dal fascino beduino per approdare negli imprevedibili lidi della notte.

Giunge così la mattina e con lei il momento di lasciare questo sogno, che di questo si tratta. 
Ahmed ci invita a salire sulle due jeep, ma noi decidiamo di stringerci in una sola: siamo in Egitto, mica in Europa! Arriviamo alla fermata, abbiamo già i biglietti e siamo sistemati nei primi posti. Con Valter scelgo di sedermi dal lato destro così godo di una visuale piena e posso fare fotografie e brevi filmati (video).

Ho sempre avuto il piacere di fotografare,
alle volte al limite della mania, e nei miei sei mesi da egiziana non mi sono trattenuta per niente, proprio come una vera giapponese! Tra l’altro, con gli occhi nascosti dietro gli occhiali scuri, sono stata spesso scambiata per giapponese, per via del mio ovale dagli zigomi alti. Poi, tolti gli occhiali … ana italeia! Sono italiana!

Il pullman è uno spettacolo: un gran bazar alla stessa stregua del Paese (video). Anche qui non posso esimermi dal fare un veloce filmato. Il viaggio incomincia ed è accompagnato dal suono del Corano. Inizialmente è un po’ pesante, ma col tempo diventa un abituale sottofondo e ce ne dimentichiamo. Se così non fosse, il Cairo si fermerebbe 5 volte al giorno quando, dalla caduta di Mubarak, la preghiera viene letteralmente “urlata” attraverso i megafoni posti fuori dalle moschee. Invece il traffico della megalopoli scorre indifferente mentre i clacson gareggiano col muazzim.
Il viaggio prosegue tranquillo fino a quando non facciamo una sosta ad una specie di autogrill  (video) dove mangiamo e bevamo qualcosa e approfittiamo dei servizi igienici...
Un improvviso apparire di file di grandi costruzioni, che col passare del tempo diventano interminabili, ci fa capire che stiamo arrivando nei pressi del Cairo (video).
Come un'infinita forma di formaggio groviera, questa fila di scatole piene di buchi posate sulla terra desertica, disegnano l'orizzonte dai nostri finestrini. Ogni tanto si vede qualche buco chiuso da vivaci tapparelle: rosa, azzurre, rosse ... Donne coperte camminano trascinandosi dietro bambini. Ogni tanto un chiosco improvvisato, specialità egiziana, vende ogni sorta di mercanzia creando attorno a sé un capannello di persone che se a volte discutono animatamente, in altre stazionano apparentemente senza scopo alcuno.

Oltre la "groviera", possiamo vedere anche le città private, come 6 ottobre. Cittadelle racchiuse dentro una cinta muraria, controllata da guardie, dove la borghesia più abbiente, sia egiziana che straniera, vive o, meglio, dorme perché il lavoro sta fuori dalle mura. Poco dopo alla nostra destra compare il governatorato di Giza con le sue piramidi in bella vista. Fa un certo effetto vedere, in prospettiva, alcune gru piazzate in linea con le piramidi quasi che fossero in costruzione. Chissà cosa direbbero i faraoni di questa invasione così poco "pudica" da parte della città.
Questo spettacolo dura fino all'ingresso nella periferia più a sud della città dove il pullman si ferma e tutti scendiamo. La Metro è a circa 10 minuti a piedi che percorriamo in fila indiana, trascinandoci dietro valige e zaini, attraversando strade di grande percorrenza, nel caos più totale.
Senza alcun timore viaggio spedita, integrata come se non mi fossi mai allontanata dalla città. Vedo il simbolo della Metro e perseguo l'obiettivo assieme agli altri. Sono a casa, mi sento a casa. Finalmente arriviamo all'ingresso e Giovanni distribuisce i biglietti.
Come è sempre accaduto sui mezzi pubblici, siamo degli osservati speciali in quanto stranieri soprattutto quando parliamo. Sopo un quarto d'ora siamo giunti a casa ma Sandra, Fidelina e Teresa proseguono per la loro casa madre dove riposeranno prima di rientrare alla loro missione, un villaggio vicino a Luxor. Sandra mi dice che ci sarebbe passata martedì per salutarmi prima della mia partenza. Mando loro un ultimo bacio dal finestrino. Usciamo su Ramsis st. e alzando di poco lo sguardo verso il campanile di Cordi Jesu, davvero mi sento ancora più a casa. Ultimo attraversamento stradale e finalmente passiamo il cancelletto verde che ci catapulta nella "pace" della nostra comunità.
La festa di un matrimonio etiope è in pieno svolgimento. Duecentocinquanta persone gremiscono il Naadi ed Elsa con il suo staff è in fibrillazione. Un abbraccio a tutti e poi saliamo sfiniti.
E' domenica 24 marzo. Mi restano ancora tre giorni per definire il progetto, lasciare le consegne, preparare le valige, fare le ultime due lezioni di conversazione in italiano ... ma soprattutto piangere tutte le mie lacrime e abbracciare tutti ...
...continua :-)

Dicevo, siamo giunti al Cairo ... mancano solo tre giorni alla mia partenza. Li descriverò ancora più lentamente per il timore che, una volta narrati, scivolino via fra le dita delle mani, come il vento nei capelli ... dunque in questa tarda serata di questo piovoso 5 maggio, cerco di ricordare le sensazioni provate quel lunedì mattina, 25 marzo.

La sveglia suona alla solita ora, che alle 8 abbiamo la colazione ed il lunedì è davvero un bel giorno perché  di norma Giovanni fa il piano della settimana. Ma anche se c'è qualche problema o situazione da affrontare, è il momento giusto per avere la sua attenzione.


Con Teresa
Così approfitto per ricordargli che abbiamo appuntamento con Suor Teresa per definire il proseguire del progetto in mia assenza. Rifacciamo il punto della situazione in attesa di Teresa e quando arriva abbiamo già le idee molto chiare che le esponiamo dinanzi ad un te. Giovanni mette in piedi, lì per lì,una storia semplice e veloce, ma molto significativa, attraverso la quale passare alla fase concreta del lavoro di drammatizzazione. Dopo tutto il lavoro pratico/teorico sulle emozioni e loro gestione e sulla struttura e costruzione di una storia, è giunta l'ora di mettere in pratica quanto appreso. Teresa è d'accordo. Dividiamo questa fase del progetto in tre lezioni che corrispondono ai tre segmenti della storia: la situazione, l'evento tragico e la ricerca della soluzione, il lieto fine con la morale. Decidiamo anche che Luisella strutturerà le sue lezioni di danza contemporanea creando coreografia e musiche attinenti alla storia in modo che tutti i ragazzi possano partecipare alla messa in scena dell'"opera". Luisella la vedrò prima di partire e la metterò a parte dell'idea per discuterne.

Corso di conversazione in italiano
Il dolce sorriso di Carol
La mia stanza


Si fa tardi e invitiamo Teresa a fermarsi a pranzo con noi. Entrambe siamo molto emozionate di poter condividere questo momento prima della mia partenza. Per la prima volta i troviamo senza ragazzi intorno e possiamo parlare senza essere -piacevolmente- interrotte. Poi la porto a vedere la mia camera ... dove ci sono le valige pronte al cinquanta per cento. La malinconia ci assale ed è davvero difficile salutasi sapendo che sarà difficile rivedersi presto.

Passo il pomeriggio continuando ad organizzare le valige fino alle 18, quando è l'ora della penultima lezione di conversazioni in italiano.
Carol, Aya, la dott.ssa Lola, e Nermin sono presenti, mentre le altre tre ragazze Scheden, Patrizia e Maria, hanno terminato il loro corso la volta scorsa.

E così anche il lunedì scorre velocemente lasciando il posto al martedì. Come ogni mattina la mia dolce sveglia del cellulare mi richiama all'ordine. La prima cosa che faccio è quella di spegnere il pc che, anche se in stand by, è rimasto acceso visto che in questi ultimi giorni ho preso l'abitudine ad addormentarmi lungo il tempo di un bellissimo canto dell'Om di monaci buddisti della durata di un'ora. E' incredibile come, guidandomi nella meditazione dell'Om, contemporaneamente mi accompagni in un sonno pacifico che mi consente di dormire senza i tappi fino a poco tempo fa fondamentali per sopportare il traffico notturno.
Fattele mie cose e pronta per la colazione, non vado a svegliare Valter che mi piace godermi, ancora per pochissimo, l'incontro mattutino con i miei coinquilini. In questi ultimi giorni piango spesso, che non vorrei andare via. Piango con Giovanni e con Elsa, con cui ho la maggiore confidenza. E' davvero duro il distacco, davvero duro. So benissimo che mi adatterò nuovamente alla mia vita a Trento come so che la presenza di Riccardo e Aurora è fondamentale come viatico alla partenza, così come il fatto che Valter sia venuto a passare la vacanza con me e a riaccompagnarmi a casa.

Per questa sera hanno preparato una festicciola al Naadi. Con Valter faccio l'ultimo giro in piazza Tahrir. Tornati a casa,attendiamo l'arrivo degli amici per il buffet con pizza, birra, torta e ...  musica per ballare! Che la festa abbia inizio,domani è un altro giorno!

Già, è un altro giorno. Mi restano poche cose da fare: piangere, incontrarmi con Luisella per definire il programma delle sue lezioni di danza contemporanea che si coordineranno con la storia, piangere ancora, finire i dettagli delle valige ... e altro non ricordo.
In questa domenica pomeriggio di maggio, dopo giorni e giorni di pioggia senza fine, dopo aver visto il fiume Adige gonfiarsi di acqua marrone da averne paura; dopo essere passata stamani, di ritorno da San Lorenzo, lungo un lago di Toblino color grigio topo, anch'esso gonfio d'acqua all'inverosimile, cerco nei miei ricordi qualche immagine che mi riporti ai quei due ultimi giorni. Ma non arriva nulla.
Anche i timidi raggi di sole che si fanno largo tra le nuvole grigie, che riportano serenità e luce nel mese delle rose e del rosario, non riescono ad illuminare lo spazio del ricordo che resta inspiegabilmente vuoto.
Si vede che così dev'essere e rimanere.
E per dare senso a questa sensazione, rimando me stessa, e chi ha voglia di leggerlo, al "Sutra del cuore" che appartiene al canone della Perfezione della Saggezza, che racchiude l’essenza dell’insegnamento del buddhismo mahayana.
Eccone l'incipit:

Oh Shariputra, la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma;
ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma;
lo stesso è per sensazione, percezione, discriminazione e coscienza.
...
Chiudo qui, dunque, questo racconto degli ultimi giorni della mia esperienza egiziana. Chiudo esprimendo forte il desiderio di ritornare a fare esperienza di missione. Non solo al Cairo in Cordi Jesu. Vorrei potermi rendere utile nei villaggi, a fianco delle sorelle che vi prestano opera innanzitutto di pace, poi di educazione alla salute, di alfabetizzazione e molto altro ancora.
Spero che questo mio desiderio, Insh'alla, se Dio vorrà, possa diventare realtà.
Salam habibi.
Simonetta
















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