sabato 13 luglio 2013

Egitto, la rivolta passa dai bar

di Federica Bianchi
l'Espresso on line - 12 luglio 2013

Il Boursa, il Belady, il Riche: sono i ritrovi della vecchia Cairo in cui gli attivisti, soprattutto i più giovani, si incontrano e organizzano le mobilitazioni. Da qui è partita la campagna Tamarrod che ha rovesciato Morsi, ed è tra banconi e tavolini che si prova a costruire un paese diverso.

Il bar Boursa del Cairo. Un groviglio di tavolini di plastica rossa e gialla, come quelli del cornetto Algida, incuneato nei vicoli alle spalle di piazza Tahrir, tra i palazzi ottocenteschi della vecchia Cairo, al calare del sole si anima di ragazzi più o meno sbarbati, di hijiab dai colori fluorescenti, di centinaia di smartphone e di interminabili chiacchiericci concitati.

Potenti fari legati agli alberi che punteggiano la via pedonale illuminano a giorno piccoli gruppi di conversazione, sessioni di lavoro al computer e attimi di relax tra narghilè e partite di backgammon mentre un inaspettato ponentino permette di sorseggiare te alla menta, dolcissimo e bollente, senza sudare. Questo angolo di gioventù all'aperto, conosciuto da tutti come il caffè Boursa, è stato per mesi, almeno fino a quando politici e uomini di affari egiziani non hanno allentato il cordone della borsa e spalancato le porte dei loro uffici, il quartier generale della campagna Tamarrod, "ribelle".

Lanciata lo scorso aprile da un gruppo di attivisti del movimento Kifaya (cambiamento) anima della rivolta contro Hosni Mubarak, non soddisfatti del volto che la Rivoluzione del 25 gennaio 2011 stava assumendo con il deposto presidente islamista Mohammed Morsi, è sfociata il 30 giugno nella più grande manifestazione della storia d'Egitto. Ha portato alla rimozione con l'aiuto dell'esercito del presidente (che non se ne sarebbe andato in nessun altro modo) e rischia adesso di risultare determinante nel sancire la fine dell'Islam politico. 

A provare a farci un salto prima delle nove di sera al Boursa si trovano soltanto tavolini vuoti, kebab addentati e un caldo sudaticcio che ti si appiccica alla pelle. Ma alla sera, fino a notte inoltrata, questo è ancora oggi il regno della futura intellighenzia egiziana. Di quei ventenni che hanno scoperto la politica, quella vera, rivoluzionaria e priva di retorica, agli albori della carriera lavorativa e che ne hanno fatto la propria vita. A partire da Mahmoud Badr, il giovane informatico diventato producer televisivo e poi militante di Kifeya, che per primo ha voluto la campagna Tamarrod: «Mi sono messo in aspettativa come giornalista ma per mantenermi lavoro ancora part time come producer, cercando di occuparmi soprattutto di tutto ciò che non richiede la mia presenza quotidiana negli studi televisivi. I miei colleghi sono molto comprensivi perché sanno che sto lavorando per il bene del Paese».

Poco distante, dall'ufficio prestati ai giovani di Tamarrod da Mohammed El Baradei, Mohammed Khamis, barba sfatta e occhi neri, anima logistica dell'iniziativa, racconta: «Avevo dei negozi per turisti a Hurgada che avevo dato in gestione per restare qui al Cairo. Ma è stato un disastro e ho dovuto venderli. Con quei soldi ho vissuto per oltre due anni. Tra pochi giorni finirò gli ultimi spiccioli e dovrò vendere anche l'iPad. Ma la lotta per un Egitto migliore è la mia vita». 

Al Boursa sono pochi gli avventori al di sopra dei trent'anni. Questi gli preferiscono il coffee shop Belady, proprio sotto il palco principale di piazza Tahrir, aria condizionata, wireless gratuito e bancone all'americana, oppure, ma in questo caso superiamo abbondantemente i quarant'anni, il cristiano café Riche che, candelabri verdi in stile Liberty ricoperti da centimetri di polvere e boiserie scura, è il ristorante per antonomasia dell'intellighenzia liberal egiziana dove i piatti tradizionali sono serviti da camerieri in costume tradizionale nubiano e sorseggiare una birra Stella non è "haram", peccato. Questo era il luogo dove Naghuib Mafhouz, uno dei più grandi scrittori del Paese, una sua gigantografia in bianco e nero campeggia ancora tra le foto delle migliori menti del Paese sui muri delle sue sale interne, passava le sere a discutere con giornalisti ed artisti.

Boursa dista dal café Riche solo cinque minuti a piedi. Segnale che il cuore della capitale pulsa ancora e non ha nessuna intenzione di farsi scippare il futuro come ha permesso che avvenisse con la grandezza del passato. A militare sul terreno a colpi di Twitter e WhatsApp per un futuro più giusto e meno incancrenito dall'ideologia e dalla religione è un gruppo misto di islamici, ventenni e trentenni, per lo più provenienti da famiglie della bassa borghesia egiziana, la più colpita dalla crisi economica ma, a differenza della stragrande maggioranza della popolazione che vive sulla soglia della povertà, dotata dei mezzi culturali per reagire.

Uno dei tanti bar del quartiere Borsa
25 gennaio 2013 - anniversario della Rivoluzione

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