martedì 1 ottobre 2013

Un Papa russo - dalla pagina FB di Diego Cugia - Jack Folla


Credo che Papa Francesco sarà, per il Vaticano e per la Chiesa, quello che Aleksandr Solženicyn e Michail Gorbaciov sono stati per l’Unione Sovietica.

Internato in un campo di lavoro nel 1945, per aver criticato Stalin in una lettera privata a un amico, Aleksandr Solženicyn con “Arcipelago Gulag” mostrò al mondo il cuore rosso del comunismo sovietico avvolto nel filo spinato. 
Michail Gorbaciov, nato tredici anni dopo lo scrittore dissidente russo, fu l’ultimo segretario generale del partito comunista. Le sue parole d’ordine: trasparenza (glasnost) e ristrutturazione (perestrojka), aprirono una breccia nel mondo della Guerra Fredda e sgretolarono il tempio del comunismo fino al crollo del muro di Berlino e alla riunificazione della Germania. 
Il primo fu insignito del Nobel per la Letteratura, il secondo per la Pace.
Che il sudamericano Papa Francesco, testimone dei crimini compiuti dalla giunta militare argentina contro trentamila “desaparecidos”, possa diventare per la Chiesa di Roma e per il mondo quel che Solženicyn e Gorbaciov sono stati per l’U.R.S.S. è solo l’intuizione un po’ visionaria di uno scrittore di campagna. Alla quale ha fatto seguito un’apprensione “materna” altrettanto paesana: “Attento Francesco, o ti faranno fare la fine di Martin Luther King e di JFK”. 
Dell’intervista di Eugenio Scalfari a Francesco pubblicata stamane su Repubblica (poco ortodossa e genuinamente “campagnola”, per i modi inattesi da un pontefice che twitta e telefona senza preavviso a rischio coccolone per il chiamato e per la “extraterritorialità” del luogo in cui si è svolta: la cameretta spoglia dove vive, a Santa Marta) mi hanno sorpreso, infatti, tre affermazioni del Papa. 

La prima, che la corte e i cortigiani siano “la lebbra del papato”. 

La seconda, che quando Francesco si trova di fronte un clericale diventa “anticlericale di botto”. 

E l’ultima, di politica spirituale, dopo aver detto che l’egoismo ha ormai quasi sotterrato l’amore per il prossimo: “Penso che il cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi.” 

Ma ce n’è una quarta, un’ultima, che forse mi ha colpito più delle altre tre messe assieme. “Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio”.

La mia intuizione, periferica e visionaria, di un “Papa russo” che forse un giorno avrebbe potuto condurre al crollo del muro di Berlino fra tutte le religioni, suppongo sia sorta da qui. Qui ho tremato per l’incolumità di Francesco poi mi sono bevuto un bicchiere d’acqua, “rimedio di tutti i mali”, secondo mia madre.


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