domenica 16 dicembre 2012

Passeggiata domenicale sul Nilo verso Tahrir

Oggi è un'assolata e calda domenica mattina.
Decido di incominciare la giornata con una passeggiata lungo il Nilo prendendo la strada per Zamalek, per poi tornare da Tahrir. Anche oggi a Down Town c'è calma, solo il solito tran tran quotidiano del traffico e del rumore.
Esco presto e mi avventuro subito nel primo attraversamento stradale. Imbocco 26 luglio street e proseguo dritta fino al ponte sul fiume. La città sta facendo i suoi primi sbadigli e si stiracchia al suono dell'apertura delle prime serrande metalliche.
Attività e mercanteggiamenti, sono in fase di risveglio. Lungo i marciapiedi, là dove c'è uno slargo, dormono ancora i senzatetto, adagiati sui cartoni e avvolti in uno spesso strato di coperte.
Cammino. Nessuno si accorge di me. Come direbbero i miei ragazzi, ormai sono "mimez". Sì, mi sento mimetizzata: per la strada cammino e attraverso come una qualsiasi egiziana.

Arrivo al fiume. Prendo a sinistra verso il "ponte dei leoni", Tahrir Bridge. La giornata è davvero bella anche se, in assenza del vento, la foschia dello smog è come un velo davanti agli occhi. Ma lo spettacolo di questo grande fiume è davvero imponente. Le motonavi della notte, quelle che col buio si illuminano per i turisti, spargendo sull'acqua le musiche arabe su cui si muovono, con grande sensualità le danzatrici del ventre, sono all'attracco. Piccole barche, invece, attraversano il fiume da una sponda all'altra. Mi fermo ad osservare e sotto i miei occhi, dentro una barca, si svolge la scena del risveglio di una madre e del suo bambino. Con grande naturalezza la mamma toglie le coperte e le ripiega facendo spazio per i movimenti del giorno. Non mi sento di fotografare questa intimità casalinga. È questione di rispetto della privacy.

Il traffico si è fatto denso e implacabile e osservo le persone che passeggiano e che siedono o dormono, ancora, sulle panchine. Già, anche qui altri senzatetto passano la notte. Una bella ragazza velata, ma vestita all'occidentale, cammina davanti a me con fare elegante. Tre ragazzine, velate e occidentalizzate pure loro, più avanti camminano di fretta, alcuni uomini siedono sulle panchine leggendo o fumando. Li osservo alzare nascostamente lo sguardo al passare della bella ragazza.

Il ritorno ad un massiccio uso del velo non corrisponde all'idea mussulmana di una donna che nasconde le sue forme. Infatti, la maggior parte delle giovani egiziane pur portando il velo e non lasciando scoperta alcuna parte del copro se non il viso, le mani e i piedi, non hanno il timore di vestire all'occidentale mettendo diversamente in mostra il proprio corpo. Una vera e propria sfida lanciata attraverso una comunicazione non verbale.

Arrivo al Museo Egizio, gli giro intorno e sono in piazza Tahrir. La piazza, chiusa al traffico, continua ad essere il presidio della democrazia. Le numerose tende colorate, le bandiere, gli striscioni sono lì, ormai da molto tempo quasi fosse sempre stato così: parte integrante della città e della rivoluzione.
Più volte mi è stato detto di non fotografare, che se vedono che sei straniera, può essere pericoloso. Ed io non sono qui per correre rischi. 

Decido comunque di entrare nella piazza ed avvicinarmi a quello che mi pare essere un "muro del pianto": le foto dei caduti della rivoluzione sono lì, una in fila all'altra, con i loro nomi, dei fiori sparsi e le candele, ora spente. La scrittura araba non mi consente di capire, ma percepisco forte l'energia della rabbia, della disperazione e della commozione che ispessisce l'aria di quel piccolo luogo della commemorazione e del pianto. Non posso trattenermi dal fare due cose, che non sento alcun pericolo in quel luogo sacro: fare il segno della Croce pregando per i caduti e le loro famiglie e tre foto per non dimenticare.

Intanto ieri si è svolta la prima parte del referendum, con un'alta affluenza alle urne e pochi disordini.
Per la seconda tranche non ci resta che aspettare sabato prossimo. 

Salam,
Simonetta





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